Adriano Bonafede

F ra pochi giorni, il 27 maggio, Mario Greco presenterà il suo nuovo piano triennale all’Investor Day di Londra. La comunità finanziaria è certo curiosa di vedere quali altri conigli l’amministratore delegato di Generali saprà tirar fuori dal suo cilindro, ma questa volta l’attesa è minore che in passato. L’opinione più diffusa è che non ci saranno novità eclatanti al di fuori delle classiche manovre di riduzione dei costi e di difesa della redditività (in uno scenario peraltro sfavorevole di discesa dei tassi che erode i margini sul ramo vita). Non è un caso che negli ultimi mesi le maggiori banche di investimento abbiano sensibilmente ridotto il consensus. Ora prevale l’attendismo: ben il 48,6% delle raccomandazioni si posiziona su ‘hold’, il 34,3 su ‘buy’ e il 17,1 su ‘sell’. A sintetizzare il giudizio del mercato è l’ultimo report di Equita del 4 maggio: «Ci aspettiamo che la presentazione del nuovo piano industriale indichi una redditività stabile nel 2016-2017 e poi il ritorno alla crescita nel 2018». Come a dire: il 2015, 2016 e il 2017 saranno tre anni duri, in cui l’abilità di Greco servirà a superare una fase difficile, non soltanto per il Leone di Trieste ma per tutte le compagnie d’assicurazione, fase collegata ai tassi d’interesse ridotti ai minimi termini. E che per Generali, che concentra ben il 70 per cento dei suoi profitti nel Vita, c’è poco da essere allegri. Nel ramo Danni, inoltre, che pur Greco ha in programma

di far crescere sia in maniera assoluta che relativa, le prospettive almeno in Italia potrebbero essere meno brillanti degli anni scorsi anche per via della prossima ripresa economica e della tipica ciclicità di questo business. Due conti fanno subito capire anche a non addetti ai lavori la formidabile spinta negativa sui conti dei ‘tassi zero’. È sempre Equita a spiegare che il tasso di reinvestimento dei bond in scadenza e del nuovo cash flowgenerato sarà nel corso di quest’anno molto inferiore al 2015: 2,4% contro il 3,6 per il Vita, addirittura dell’1,1 per cento contro il precedente 3,4 nel Danni. In più, c’è anche un problema di solidità patrimoniale sotto i riflettori. Nessuno mette ovviamente in discussione tale solidità però negli ultimi mesi il titolo Generali ha sottoperformato rispetto ai peers anche per l’improvvisa e inattesa discesa del parametro patrimoniale di Solvency, calato da 184 a 157. Inoltre, ormai quello a cui guarda il mercato è Solvency 2, che entrerà in vigore il prossimo primo gennaio. E su questo punto – come ha scritto in un freddo report Autonomous (uno dei pochi broker indipendenti) nel marzo scorso – non c’è ancora chiarezza su come esattamente il Solvency 1 si trasformerà in Solvency 2. Si sa che l’operazione richiede tempo, soprattutto per sviluppare quel ‘modello interno’ che, per Allianz, consta di ben 100.000 pagine e su cui Generali è in ritardo. Da considerare anche le incertezze normative che ancora esistono, visto che l’Eiopa, l’organismo regolatorio europeo, potrebbe richiedere nuovi capital charge. Per migliorare il ratio patrimoniale, Greco ha già detto di poter incidere su un paio di fronti in particolare: sulle liabilities dei fondi pensione venduti in Francia e sulle attività in Germania. In ogni caso la visione degli analisti su Solvency 2 potrebbe essere più favorevole non appena il mercato conoscerà nel dettaglio le azioni dell’ad. La stessa Autonomous fa capire che la tradizionale prudenza di Generali nel calcolare i parametri patrimoniali dovrebbe portare la compagnia a una Solvency 2 del tutto simile alla 1. Che comunque resterebbe un po’ più bassa di quelli dei peers come Axa e Allianz. Nel nuovo piano industriale, Greco confermerà anche l’obbiettivo di accrescere stabilmente il dividend yield, che oggi è del 3,5 per cento, contro il 4-4,5 di Allianz. Aumentare il dividend yield senza abbassare Solvency 2 sarà il principale problema dell’ad del Leone: una sorta di prova di equilibrismo tra le due opposte esigenze di rafforzare il capitale, cioè mettere da parte più soldi, e di offrire maggiori dividendi agli investitori, ovvero far uscire più denari dalla società. Per raggiungere i nuovi target di redditività, Greco dovrà continuare ad agire anche sui costi: la stessa società aveva individuato in 750 milioni in meno rispetto ai costi operativi del 2013 e a 1 miliardo nel 2016. Ma tutti i costi risparmiati sono stati finora reinvestiti nella società: occorre attendere finché non si vedranno i frutti di tale azione . Greco ha quindi davanti a sé due o tre anni di duro ma ordinario lavoro. Grandi operazioni di acquisizione o di merger non si vedono proprio all’orizzonte. Del resto, finché perdurerà in Europa il periodo di bassi tassi, neppure i concorrenti internazionali hanno convenienza a portare avanti programmi del genere, rinviati a quando la ripresa si sarà solidificata. Però sul fronte della governance qualcosa si muove e forse prefigura nuovi, futuri, assetti proprietari. L’uscita di Lorenzo Pellicioli, rappresentante di De Agostini nel cda del Leone, a favore del voto maggiorato, è stata raccolta anche dal vicepresidente Franco Caltagirone. Entrambi favorevoli alla ‘loyalty share’, che permetterebbe agli azionisti che detengono il titolo per un certo periodo di contare di più in assemblea. Il presidente di Generali, Gabriele Galateri di Genola, ha confermato che la questione sarà esaminata in uno dei prossimi cda ma che non serve indire un’assemblea straordinaria, per cui se ne parlerà nel 2016. Si dovranno superare le resistenze dei fondi, ma lo stesso Galateri ha ricordato che il fronte degli investitori istituzionali è meno compatto di quanto non si creda: «Quando uno come Larry Finck, presidente di Blackrock ti dice che dobbiamo lavorare sul lungo termine per contrastare gli short-termisti, uno si chiede come farlo». Mediobanca, per bocca del suo ad Alberto Nagel, è stata l’ultima a prendere posizione ma è possibilista: «È un argomento interessante e delicato che va condiviso con i principali investitori istituzionali per capire se c’è un allineamento da parte di tutti».