di Giuseppe Romeo*

Nel settembre 2014 è stato emanato il decreto del ministero dell’Economia 166/2014, che ha sostituito l’ormai datato dm 703/1996 in materia di limiti agli investimenti dei fondi pensione. Tale provvedimento legislativo fissa un nuovo limite massimo per ciò che concerne gli investimenti in strumenti non negoziati in mercati regolamentati o in fondi di investimento alternativo, nella misura del 30% delle disponibilità complessive del fondo.

A fronte dell’accresciuta flessibilità operativa, il legislatore impone ai fondi di dotarsi di strutture organizzative professionali e tecniche adeguate a mettere in atto politiche e procedure di monitoraggio, gestione e controllo del rischi. Dunque l’orientamento di fondo della nuova disciplina è quello di assicurare la sana e prudente gestione non più tramite limitazioni regolamentari, ma piuttosto mediante un controllo più severo sulle procedure di gestione diretta e indiretta degli investimenti.

 

L’accresciuta possibilità di investimento da parte dei fondi pensione in fondi alternativi è coerente con la necessità di far ripartire gli investimenti nei paesi, come l’Italia, colpiti dalla crisi del debito e dal successivo processo di deleveraging. Infatti, al fine di individuare nuove fonti che possano assicurare i necessari investimenti infrastrutturali e il finanziamento di lungo termine a favore di piccole e medie imprese con elevato potenziale di crescita, lo scorso 10 marzo il Parlamento Europeo e il Consiglio Ue, su proposta della Commissione, hanno approvato il testo di regolamento di una particolare tipologia di fondi di investimento alternativo, i fondi europei a lungo termine, cioè European Long Term Investment Funds, per i quali è previsto un limite minimo del 70% in investimenti in infrastrutture, trasporti e sociale.

Sono particolarmente esemplificative le parole di Michel Barnier, fino a ottobre scorso Commissario europeo per il mercato interno e i servizi finanziari: «Dobbiamo garantire all’economia reale europea il finanziamento a lungo termine. Oggi i finanziamenti spesso scarseggiano e, anche dove ci sono, sono eccessivamente concentrati su obiettivi a breve termine. C’è un forte bisogno di incoraggiare gli investitori ad impegnarsi in investimenti di lungo termine fornendo ”capitale paziente”, cioè non orientato a speculazioni di corto respiro».

 

Inoltre i singoli Stati membri possono anche introdurre incentivi fiscali. Ne è esempio di ciò nel nostro paese il credito di imposta, previsto dalla Legge di Stabilità 2015 e dal relativo decreto del Tesoro (in pubblicazione), per i fondi pensione e le casse di previdenza, che investano in strumenti azionari o obbligazionari, destinati alla realizzazione di infrastrutture correlate all’erogazione di servizi pubblici o di pubblica utilità.

Definito quindi il quadro di riferimento può essere ora opportuno interrogarsi circa le conseguenze che la presenza degli investimenti alternativi, illiquidi, può avere nella gestione delle risorse del fondo. La prima conclusione che si può trarre è che, laddove si introducono titoli illiquidi in misura significativa in un portafoglio si aumenta la redditività potenziale, ma inevitabilmente si allunga l’orizzonte temporale di riferimento e la valutazione delle performance si complica data l’assenza di una valutazione di mercato dell’investimento. È dunque necessario analizzare attentamente l’opportunità e le conseguenze di tale decisione. Al proposito al Centro Baffi Carefin dell’Università Bocconi sta iniziando una ricerca sull’asset allocation in presenza di titoli illiquidi, che sarà presentata oggi a Milano dai professori Sergio Paci e Claudio Tebaldi. Dalle prime ipotesi contemplate è possibile ivi leggere una serie di questioni.

Innanzitutto emerge una minore rilevanza del benchmarking nell’analisi della performance e quindi viene meno la consueta inerzia nella gestione, indotta dal riferimento al benchmark. È d’altronde indispensabile considerare forme alternative di valutazione della redditività dell’investimento ricorrendo a procedure già utilizzate nell’analisi della performance dei fondi speculativi.

 

L’investimento di lungo termine, specie se legato a public utility che prevedono introiti continuativi legati all’erogazione di servizi, può garantire un flusso stabile di dividendi poco correlato con il ciclo e dunque potenzialmente adatto a far fronte alle prestazioni richieste al fondo pensione. Infatti non si deve dimenticare che, al fine di garantire gli obiettivi istituzionali, la gestione dinamica della componente liquida dei portafogli, nonché la selezione degli stessi investimenti illiquidi si dovrà tener conto del profilo temporale delle prestazioni da erogare e quindi del ciclo di vita e della distribuzione anagrafica degli aderenti. Insomma, tutti aspetti critici, che sicuramente produrranno innovazioni gestionali di una certa significatività e di cui discuteremo in seguito parallelamente allo sviluppo della ricerca. (riproduzione riservata)

*studioso di fondi pensione