di Paolo Savona

La sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il mancato recupero dell’inflazione per le pensioni, provvedimento del governo Monti, ha riaperto un dibattito che dura da decenni sulla possibilità che il sistema pensionistico italiano basato sulla ripartizione – incrociandosi con l’invecchiamento della popolazione e la riduzione dei contributi che in gran parte lo finanziano – possa reggere nel lungo termine date le ristrettezze della finanza pubblica. Il maggiore quotidiano economico italiano si chiede se vogliamo buone pensioni o conti in ordine e uno stimato analista, Giuliano Cazzola, respinge la proposta di ricalcolare le pensioni dovute su basi contributive. In generale il tema è ancora affrontato sulla base di un astratto problema di giustizia sociale, dove vale lo scellerato patto tra elettori ed eletti che induce ad affrontarlo in modo confuso con la redistribuzione dei redditi in forma palese e della ricchezza in forma mascherata.

È possibile fare un po’ d’ordine? Negli Usa una ricerca ha accertato che un’alta percentuale di elettori riceve dallo Stato un valore in termini di prestazioni ricevute, maggiore delle tasse che paga. Il blocco politico di interessi creatosi intorno a questi privilegi inficia il funzionamento della democrazia. Anche l’Italia dispone di questi dati, ma essi non vengono resi pubblici in quanto dimostrano che una larga maggioranza degli elettori si trova in un’analoga situazione, cioè le tasse che paga sono inferiori al valore dei servizi che riceve. È da qui che si deve partire. Il ricalcolo delle pensioni in base ai contributi versati è doveroso, perché il cittadino deve sapere quali oneri carica sulla collettività per regolarsi su quale sia la sua posizione nei confronti della società, sia per moderarsi nell’utilizzo dei servizi che lo Stato gli rende, sia per pretendere che essi siano prodotti in modo efficiente. Tutte conoscenze che devono orientare l’elettore. Poiché si fa strada l’ipotesi di concedere un salario di cittadinanza sotto la spinta dell’opposizione, assecondata dalla maggioranza per fini elettorali, il calcolo di costi e benefici complessivi di ciascun individuo verso la collettività è il solo modo per ricollocare il problema della giustizia sociale su basi più eque e sostenibili di quelle attuali. Su quasi ogni aspetto della vita sociale si sovrappone il carico di una redistribuzione dei redditi, facendo perdere cognizione della portata quantitativa della progressività delle imposte. Nel settore sanitario non è raro il caso in cui il ticket richiesto supera il valore del farmaco o della prestazione, ma si potrebbero fare ben altri esempi. Il problema tocca pesantemente la riconduzione del sistema pensionistico su basi sostenibili perché, di fronte a uno Stato che alleggerisce quest’onere per dedicarsi a risolvere problemi ben più importanti, come l’istruzione e le infrastrutture, si deve creare un habitat favorevole alla creazione di un sistema pensionistico privato. Cosa che oggi non solo non si permette, ma si grava di oneri crescenti, dato che gli accumuli di ricchezza sono ritenuti un simbolo di disuguaglianza da tassare, spesso in forme occulte, come le imposizioni su redditi presunti. Franco Modigliani vinse il premio Nobel per aver completato la teoria economica neoclassica con l’interpretazione dell’offerta di risparmio nota con l’ipotesi del ciclo vitale. Essa trovò conferma sul piano empirico anche in Italia, dove i risparmi accumulati nel corso del ciclo vitale del lavoro di un individuo erano usati nella fase finale della vita, in sostituzione o a integrazione della pensione pubblica. Chi era cosciente di tale necessità e ha provveduto a un piano privato di accumulo di risparmio dopo aver assolto agli obblighi fiscali, si è trovato nella duplice morsa di uno Stato che in due modi si è sostituito a lui nel godere i benefici della sua ricchezza: azzerando i rendimenti finanziari e tassando la ricchezza immobiliare a prescindere dall’esistenza di una rendita effettiva. Ironicamente, sollecitai il governo a intraprendere un’azione di revoca del premio Nobel a Modigliani per aver trascurato la tassazione (cosa già accaduta con il teorema Modigliani-Miller sull’indifferenza della leva finanziaria ai fini del valore di mercato di un’impresa).

Il problema dell’onere pensionistico non può più essere risolto con trattamenti discriminatori che rendono lo Stato il più efferato violatore di contratti, dopo esserne il più severo giudice nel richiederne il rispetto, soprattutto se ne è diretto beneficiario. Occorre ricalcolare i diritti pensionistici accumulati con i contributi e semplificare le varie forme di tassazione progressiva per evidenziare su base individuale l’esistenza di una tassa sul reddito negativa, soprattutto se si vuole applicare un reddito di cittadinanza che non può prescindere da tale conoscenza. E va consentito l’accumulo in esenzione fiscale di un ammontare massimo prefissato di risparmi, i cui redditi integrino la pensione, come accade nei paesi civili. (riproduzione riservata)