Digerita la sentenza della Consulta, ora il tema dominante è la maggiore flessibilità in uscita. Ma in ballo c’è anche il rebus disoccupati over 55 e la rivoluzione da attuare all’Inps, dove regnano inefficienza e scarsa trasparenza. Parola di presidente

di Luisa Leone 

L’Inps da rivoltare come un calzino, la legge Fornero da riformare e una soluzione da trovare per i disoccupati over 55. Tutto lavoro per il governo e il nuovo presidente dell’Inps, Tito Boeri, alle prese con il cantiere senza fine delle pensioni. Appena archiviata la questione Consulta, trovando una soluzione minimale (costo 2,2 miliardi) per i rimborsi dovuti per la mancata indicizzazione nel 2012-2013, si è infatti subito aperto un altro fronte, quello della maggiore flessibilità da concedere a chi voglia lasciare in anticipo il lavoro, rispetto ai paletti rigidissimi fissati dal governo Monti nel 2012.

Sulla necessità di intervenire, per una volta, tutti sono d’accordo: dal premier Matteo Renzi, che nel suo stile ha subito dipinto il problema con l’immagine di una nonna 62enne che voglia rinunciare a qualche decina di euro per godersi il nipotino; al ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, alle forze di maggioranza e d’opposizione, fino allo stesso Boeri. Strada in discesa allora? Niente affatto. Perché come sempre quando si apre il delicato capitolo pensioni, bisogna fare i conti con le esigenze di bilancio, ancor più se si pensa che, secondo i calcoli di Ragioneria e Inps, le uscite anticipate potrebbero costare fino a 45 miliardi, senza mitigazioni.

Il punto allora è quali meccanismi introdurre per rendere la flessibilità sostenibile. Renzi si è limitato a dire che il governo ha intenzione di intervenire con la legge di Stabilità entro il prossimo autunno, mentre Poletti non ha escluso nessuna ipotesi al momento. Un po’ più circostanziato è stato l’intervento del sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, che ha fatto riferimento alla possibilità di utilizzare il sistema delle penalizzazioni per chi decide l’uscita anticipata rispetto ai 66 anni, senza aver maturato il requisito minimo di oltre 40 anni di contributi previsti dalla Fornero. D’altro canto il sottosegretario è tra i firmatari, insieme al presidente della commissione Lavoro alla Camera Cesare Damiano (minoranza Pd), di una proposta di legge che prevede appunto la possibilità di lasciare il lavoro con almeno 35 anni di contributi, tra 62 e 70 anni d’età, con una penalizzazione del 2% sull’assegno per ogni anno d’anticipo, per un massimo dell’8% complessivo.

Altre ipotesi invece sono molto più drastiche, come quella che vorrebbe estendere anche agli uomini la cosiddetta «Opzione donna», che consente alle lavoratrici ancora fino alla fine di quest’anno di andare in pensione con 57 anni di età e 35 di contributi ma accettando il ricalcolo dell’intero assegno pensionistico con il sistema contributivo invece che retributivo. Il che comporterebbe una sforbiciata tra il 20 e 30%: tanto, troppo per chi ha a disposizione assegni già bassi. Eppure secondo Poletti al momento nessuna ipotesi può essere esclusa, neanche questa. Vale allora la pena ricordare che tra le ipotesi circolate in passato c’è anche quella del prestito pensionistico, che era stato studiato dal predecessore di Poletti, Enrico Giovannini, che consiste sostanzialmente nella possibilità di andare in pensione con un assegno di circa 700 euro al mese, corrisposti come una sorta di contributo statale che poi sarà rimborsato in piccole rate dal lavoratore una volta ottenuta la pensione piena. Un’altra ipotesi che circola sottotraccia è quella di finanziare, almeno in parte, la flessibilità in uscita con un contributo di solidarietà sulle pensioni più alte. Una norma di equità secondo molti, soprattutto per quelle pensioni che sono state calcolate con il metodo retributivo e quindi superano anche di diverse volte la cifra versata durante la vita lavorativa, ma che aprirebbe un altro vaso di Pandora: qual è la soglia oltre la quale una pensione può considerarsi ricca? Finora le cifre in ballo quando si è trattato di individuare penalizzazioni, come la mancata o ridotta indicizzazione, sono state davvero basse: dai 1.440 euro lordi per lo stop previsto dalla legge Fornero per il biennio 2012-2013 ai 3 mila euro stabiliti dal governo Renzi come limite entro il quale non si avrà diritto a nessun rimborso per quel mancato adeguamento bocciato dalla Consulta.

In questo senso un assist al governo potrebbe comunque venire dall’operazione trasparenza lanciata da Boeri. Ormai da qualche tempo l’Inps pubblica sul suo sito i conti delle categorie che più si avvantaggiano del calcolo retributivo delle proprie pensioni. Finora sotto la lente sono finiti il Fondo Speciale Ferrovie dello Stato, quello dei dirigenti ex Inpdai, quello per il Trasporto aereo, il Fondo dei telefonici e l’omologo degli elettrici e quello del trasporto pubblico. Secondo indiscrezioni, in base ai calcoli dell’istituto di previdenza, da un aggiustamento su queste pensioni generose si potrebbero ottenere circa 2 miliardi di spesa da utilizzare, per esempio, per garantire gli over 55 che perdono il lavoro e non ne trovano un altro. Un problema legato al rischio povertà, molto sentito da Boeri, che la settimana scorsa nel corso di un’audizione alla Camera, ha assicurato che entro un mese l’istituto presenterà una proposta «chiavi in mano» per risolvere il problema. Come pure, entro giugno, l’Inps presenterà la sua idea per la modifica in senso più flessibile della legge Fornero: «Nel farla serve guardare al sistema contributivo. Perché se avessimo usato il sistema pro rata per tutte le pensioni retributive nel 1995, la situazione oggi sarebbe molto diversa», ha detto in merito il presidente dell’istituto.

 

Qualunque sarà alla fine la scelta dell’esecutivo per dare maggiore libertà ai lavoratori alla fine della loro carriera, già da ora si può dire che un’Inps in piena forma sarà fondamentale per la buona riuscita di tutta l’operazione. Il che richiederà a sua volta molto lavoro, visto che il suo neo-presidente l’ha descritta come un malato quasi terminale. La requisitoria di Boeri sull’istituto che è stato di recente chiamato a dirigere, fatta sempre in un’audizione in Parlamento, lo scorso 20 maggio, è stata infatti impietosa e ha tracciato un quadro desolante. Per l’economista l’organizzazione dell’apparato dell’Inps, e in particolare della dirigenza, si basa su molteplici progetti di «dubbia rilevanza» che sembrano avere ragione d’esistere solo per dare un incarico a tutti i 48 dirigenti risultati dalla fusione di Inps, Inpdap ed Enpals. Ancora Boeri ha denunciato procedure poco trasparenti per le consulenze, tanto che nel bilancio 2015 non c’è traccia di spese per questa voce, nonostante i molti contratti in essere. Il che d’altronde non meraviglia se si pensa che il presidente definisce il bilancio Inps come «poco trasparente» e non leggibile neanche da «supertecnici». Ancora emerge che sull’istituto pendono indagini dell’Autorità Anticorruzione per fatti rilevanti, come rapporti con società esterne all’istituto affidati senza gara. Infine un appunto anche alla scarsa attenzione alla gestione dei crediti, lievitati alla cifra monstre di 94 miliardi, e una gestione diretta degli immobili che porta solo inefficienze. Insomma, non resta che decidere da che parte cominciare. (riproduzione riservata)