In un Paese come l’Italia caratterizzato da un’elevatissima pressione tributaria assume particolare valenza una forma di risparmio quale la previdenza complementare che gode davvero di significativi benefici fiscali. Anche se deve essere ben chiaro che la motivazione per cui va sottoscritto un fondo pensione o un pip è quella di integrare in via prospettica la copertura che verrà fornita in quiescenza dal sistema di previdenza obbligatoria e che quindi il vantaggio fiscale è un mezzo per tendere a una prestazione più elevata al pensionamento e non piuttosto un fine, va al contempo sottolineato che è innegabile come il propellente fiscale sia davvero di notevole portata. È utile allora, in vista delle prossime dichiarazioni fiscali, partendo dal 730 e proseguendo con il Modello Unico, ripercorrere quali siano i punti di attenzione che il legislatore riconosce al risparmio previdenziale.

La premessa è che lo schema disegnato dal legislatore è del tipo E-T-T, Esenzione in fase di contribuzione, Tassazione dei rendimenti, Tassazione della prestazioni. Considerando che in ben 18 Paesi europei su 28 lo schema prevalente è invece del tipo E-E-T, con l’esenzione cioè anche dei rendimenti, è verosimile ritenere che il regime di tassazione applicato in Italia ai fondi pensione/pip non dovrebbe essere modificato dal prossimo innalzamento dell’aliquota sulle rendite finanziarie del governo Renzi, essendo già allineato, peraltro in senso peggiorativo, rispetto al senso in Europa. I contributi versati, dal lavoratore e dal datore di lavoro, sia volontari sia dovuti in base a contratti o accordi collettivi, anche aziendali, alle forme di previdenza complementare, sono deducibili dal reddito per un importo non superiore 5.164,57 euro. Approfondimento merita poi il caso dei lavoratori di prima occupazione successiva alla data di entrata in vigore del decreto 252/2005 (1 gennaio 2007) a beneficio dei quali, nei primi cinque anni di partecipazione ai fondi, è consentito, nei 20 anni successivi al quinto anno di iscrizioni, di dedurre dal reddito contributi eccedenti 5.164,57 euro, pari alla differenza positiva tra l’importo di 25.822,85 euro e i contributi effettivamente versati nei primi cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche e comunque per un importo non superiore a 2.582,29 euro. Pertanto, l’importo massimo annuale complessivamente deducibile è di 7.746,86 euro.

I rendimenti dei prodotti di previdenza integrativa sono tassati poi con aliquota dell’11%, inferiore quindi all’attuale 20% (e ancor più al 26% che scatterà da luglio prevista per le altre rendite finanziarie). Su orizzonti temporali prolungati il vantaggio del risparmio di imposta non è di poco conto consentendo maggiori rivalutazioni finanziarie con un più efficace processo di accumulazione finanziaria del montante previdenziale.

Last but not least occorre esaminare la tassazione delle prestazioni pensionistiche complementari. Sia se erogate in forma di rendita che sotto forma di capitale (giova rammentare come al massimo possa percepirsi il 50% sotto forma di capitale ma il 50% deve essere comunque corrisposto sotto forma di rendita) sono assoggettate a una ritenuta a titolo d’imposta con l’aliquota del 15% ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali. Le aliquote sostitutive (dal 15 al 9%) sono sensibilmente inferiori rispetto a quelle Irpef o di tassazione separata. (riproduzione riservata)