di Antonio Ciccia e Alessio Ubaldi  

 

La sofferenza patita durante l’agonia è autonomamente risarcibile in favore dei prossimi congiunti quale danno morale iure hereditatis a condizione che la vittima sia stata in condizione di percepire il proprio stato, il che non avviene nei casi in cui, a seguito dell’incidente, abbia fatto immediatamente seguito lo stato di coma protrattosi fino al decesso.

Lo ha stabilito la terza sezione della Corte di cassazione con la sentenza n. 759, depositata il 16 gennaio 2014.

Nel caso di specie i genitori di un ragazzo rimasto vittima di un sinistro stradale si sono rivolti al giudice civile per ottenere il ristoro dei danni patiti in seguito alla grave perdita.

Gli attori hanno citato in giudizio l’autore dell’incidente, assieme alla relativa compagnia assicurativa, chiedendo che questi fossero condannati al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali e in particolare, con riferimento a tale seconda categoria di danno, a quello morale iure hereditatis ex art. 2059 cod. civ., scaturito dalle sofferenze della vittima caduta in uno stato comatoso (durato dieci giorni) prima che sopravvenisse il decesso.

Il Tribunale ha accolto in toto le domande attoree, per l’effetto condannando in solido i convenuti al risarcimento integrale dei danni per come paventati. Di diverso avviso è stata la Corte di secondo grado, adita in sede di gravame dal danneggiante e la compagnia, per la quale, anzitutto, la ricostruzione dell’incidente non era tale da poter escludere un concorso di colpa della vittima; a ciò deve aggiungersi (ed è questo il profilo di rilevanza della statuizione) l’esclusa risarcibilità del cd. danno catastrofale, per assenza, nel caso di specie, dei relativi presupposti; ebbene, ad avviso dei difensori dei genitori della vittima, con una interpretazione «distorta» dell’art. 2059, cod. civ., la corte territoriale sarebbe giunta a negare il risarcimento per il pretium doloris sofferto dal congiunto «proprio quando la gravità della lesione infetta presentava una incisività talmente grave da annientare la sensibilità della persona offesa».

Di tanto si è discusso in sede di legittimità.

Tra vari motivi di censura, i ricorrenti hanno rimarcato l’erroneità dell’interpretazione resa dai giudici della Corte di seconde cure nella parte in cui si è detto che alla risarcibilità iure hereditatis del danno catastrofale sarebbe stato d’ostacolo lo stato di coma nel quale ebbe a cadere il giovane ragazzo in seguito al violento impatto con l’auto del danneggiante, e tanto giusta l’insensibilità alle sofferenze che detto stato comatoso avrebbe sortito nella vittima, capace di escludere ogni sofferenza transeunte con riferimento al lasso temporale che ha separato il sinistro dalla morte.

Con la pronuncia in epigrafe la Corte capitolina è tornata ad affrontare l’annosa questione concernente i presupposti della domanda risarcitoria, avanzata dai parenti della vittima nella loro qualità di eredi, e avente ad oggetto il danno non patrimoniale, cd. catastrofale.

Nel far tanto, i giudici di legittimità hanno tratto l’abbrivio delle loro conclusioni dai pronunciamenti della stessa Curia che, a far data dalle storiche sentenze di San Martino (cfr. Sez. Un., sent.ze n. 26972, 26873, 26974, 26975 del novembre 2008), si sono occupate, più in generale, del danno non patrimoniale, categoria unitaria nella sostanza e tuttavia, scindibile, a titolo descrittivo, in varie voci, tra le quali deve annoverarsi quella in oggetto. Il danno catastrofale, in particolare, si sostanzia nel risarcimento della «sofferenza patita dalla vittima nel periodo breve che precede la morte in cui essa ha la possibilità di rendersi conto della gravità del proprio stato e dell’approssimarsi della morte».

Diversamente da quanto accade per quello «tanatologico» (recte il danno connesso alla perdita della vita come massima espressione del bene salute) il diritto a ottenere il risarcimento del danno catastrofale, nella maggior parte dei casi, è stato ritenuto trasmissibile agli eredi nei soli limiti in cui la vittima, in seguito al sinistro rivelatosi mortale, abbia sofferto, per un apprezzabile periodo di tempo, una «lesione della propria integrità psico-fisica costituente un autonomo danno «biologico», accettabile con valutazione medico legale». In altri termini, il danno catastrofale può essere trasmesso agli eredi a condizione che sia «entrato nel patrimonio del defunto», e cioè «che egli abbia patito quella sofferenza determinata dall’accorgersi della vicina fine della vita». E tuttavia, le condizioni affinché possa dirsi effettivamente «entrata nel patrimonio del defunto» siffatta voce di danno e cosa debba intendersi per «apprezzabile periodo di tempo» sono questioni tuttora incerte, donde il dibattito è ancora lungi dall’essere sopito.

La sentenza in esame, che pure ha fatto salvo il dictum della Corte d’appello, si colloca su questo insidioso scenario ribadendo un’importante coordinata interpretativa: «In caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo, la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia è autonomamente risarcibile non come danno biologico, ma come danno morale iure hereditatis, a condizione però che la vittima sia stata in condizione di percepire il proprio stato, mentre va esclusa anche la risarcibilità del danno morale quando all’evento lesivo sia conseguito immediatamente lo stato di coma e la vittima non sia rimasta lucida nella fase che precede il decesso».

©Riproduzione riservata