di Domenico Cacopardo www.cacopardo.it  

 

C’è un gran rumore nei corridoi del ministero dell’economia e in quello del lavoro: il tema è lo scippo che sarebbe stato immaginato dal think tank (si fa per dire) di palazzo Chigi nei confronti dei fondi accantonati per forme pensioni complementari. La vigilanza su di essi (e la tutela) è affidata dalla legge alla Covip (l’Autorità specifica) che deve occuparsi della coerenza d’ogni investimento con le finalità previdenziali e della prudente composizione degli investimenti stessi. I fondi interessati sono 536, gestiscono 116 miliardi di risparmio previdenziale di 6milioni e 200 mila lavoratori, in costante crescita (a dispetto della crisi).

 

A essi si aggiungono 20 casse professionali di previdenza obbligatoria, quella definita Il primo pilastro, con altri 60 miliardi di risparmio previdenziale obbligatorio che riguardano 1 milione e 700 mila liberi professionisti. Insomma la Covip vigila un patrimonio di 176 miliardi di euro, pari a poco meno del 10% del Pil nazionale, sulla base di una scelta compiuta dal legislatore nel 1993: concepire il sistema previdenza integrativa, in coerenza con l’art. 38, comma 2, della Costituzione, come ordinamento capace di garantire l’adeguatezza personalizzata della prestazione pensionistica. Peraltro, anche l’Ocse e la Commissione europea hanno sollecitato il potenziamento degli accantonamenti complementari.

 

Lo staff presidenziale, capitanato dall’ex segretario comunale di Reggio Emilia e dall’ex comandante dei vigili urbani di Firenze, sembra che stia valutando l’ipotesi di trasferire le funzioni della Covip alla Banca d’Italia. Un’idea del genere non può che essere nata aliunde, giacché comporta la consegna del prezioso malloppo nelle mani del sistema bancario, comprendente la Banca d’Italia di recente spogliata dei poteri di vigilanza sulla banche assunto dalla Bce. Occorre dire che i risultati ottenuti in passato dalla Vigilanza di Bankitalia non sono stati particolarmente brillanti, visti i casi Banca popolare italiana, Banca popolare di Milano, Carige, Monte Paschi e via dicendo.

 

C’è di che essere spaventati dalla prospettiva, che aprirebbe l’uso di questi ingenti risorse (in costante crescita annuale) a utilizzazioni non nell’interesse dei beneficiari, bensì di quel sistema bancario nazionale che tante risorse ha bruciato nella gestione del credito. C’è da credere che i beneficiari del sistema sarebbero nettamente contrari a questa vera e propria distrazione di fondi: i due settori economici interessati (risparmio previdenziale e credito) sono in fisiologico conflitto, potendosi verificare che la ricerca della stabilità del settore bancario sia perseguita a danno del risparmio previdenziale, della sua profittabilità e affidabilità.

Raccontiamo questo back-stage governativo come conferma dell’inattesa deriva politica di Renzi e dei suoi seguaci più votati a tassare che a tagliare le spese, più attenti alle esigenze di alcuni poteri nazionali che alle necessità collettive, sia che si tratti di banche che di Sorgenia. Poiché il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan è persona estranea alle parrocchie in auge sino a qualche mese fa (in particolare a quella di Draghi) e con lui sono fuori da questo genere di suggestioni anche Giuliano Poletti e Dario Franceschini, c’è da credere che il caso dei fondi previdenziali sia frutto esclusivo della fantasia di palazzo Chigi, cioè Renzi&Delrio e collaboratori stretti. Ci vuole molta attenzione sui loro –spesso sconsiderati- passi, proprio per evitare di trovarci, anche in questo delicatissimo settore, con un pugno di mosche in mano.

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