Vegas: necessaria una vigilanza unica per i mercati finanziari, sul modello di quella per le banche affidata alla Bce. Altrimenti saranno avvantaggiati i Paesi con le prassi meno rigorose

di Francesco Ninfole

 

Un’unione dei mercati finanziari in Europa, che si affianchi a quella bancaria. Soltanto così sarà possibile evitare asimmetrie e penalizzazioni, soprattutto per i Paesi con la normativa più rigorosa. La proposta è stata rilanciata ieri da Giuseppe Vegas, in occasione dell’incontro annuale con il mercato nella sede di Borsa Italiana a Palazzo Mezzanotte.

Il presidente della Consob, davanti al premier Enrico Letta e ai principali esponenti del mondo finanziario italiano, oltre a sottolineare l’inefficacia delle politiche di austerità e a chiedere maggiori poteri per la Consob (si vedano articoli nelle pagine seguenti), si è soffermato sulla necessità di creare una Financial Union, ovvero una sorta di super Consob europea, che abbia non solo poteri regolamentari (come quelli che ha oggi l’Esma), ma anche di vigilanza e supervisione diretta. In sostanza Vegas ha proposto per i mercati finanziari un modello del tutto simile a quello in via di definizione per le banche: da metà 2014 la Bce avrà la supervisione accentrata per le banche dell’Eurozona, con il supporto delle autorità nazionali (come Bankitalia), mentre l’autorità europea Eba definirà regole comuni.

Per quanto riguarda i mercati finanziari, la supervisione unica è invece ancora un’utopia. «Persistono importanti disomogeneità tra i vari Paesi, sia nella ripartizione delle competenze, sia nelle prassi di vigilanza adottate», ha rilevato Vegas. «La mancata centralizzazione della vigilanza finisce, in molti casi, per avvantaggiare coloro che fanno ricorso a prassi meno scrupolose». Gli unici poteri affidati all’Esma, e validi per tutta la Ue, riguardano le agenzie di rating, i trade repositories e il coordinamento sullo short selling. Ma la supervisione è diversa in ogni Paese: così le società finanziarie oggi possono essere autorizzate in Stati con controlli molto leggeri (come Cipro) e poi distribuire prodotti in tutta l’area. Proprio la vicenda di Nicosia ha già dimostrato, riguardo alle banche, l’importanza di una vigilanza coordinata. L’approccio attuale, con autorità europee che hanno solo competenza sugli standard regolamentari, è stato giudicato «insoddisfacente» da Vegas. «In analogia all’approccio adottato per il comparto bancario, dobbiamo disporre di un campo di gioco perfettamente livellato anche nel nostro settore. Per questo è il momento di pensare a una riforma del sistema finanziario, una sorta di Financial Union, nella quale l’autorità europea potrebbe assumere un ruolo più forte in materia sia di regolamentazione sia di vigilanza». L’Europa si presenterebbe così come «un’entità coesa e omogenea, alla pari delle principali aree economiche concorrenti,

come Stati Uniti, Cina, India e Brasile». Il trasferimento dei poteri dagli organi nazionali a quello europeo comporterebbe «un accrescimento di tutele a favore dei risparmiatori europei, cui verrebbe assicurato un identico livello di salvaguardia nell’intera area».

Il tema dell’Unione finanziaria non è stato ancora affrontato con decisione a livello europeo. I Paesi membri faticano ancora a trovare l’accordo finale sull’Unione bancaria, che su alcuni punti chiave si scontra in particolare con l’opposizione della Germania. Tuttavia, mentre per la vigilanza bancaria sono già stati definiti i punti fondamentali, per i mercati finanziari non è stata fissata neppure una data per le prime bozze di Bruxelles. Tuttavia c’è un’occasione che secondo Vegas occorre sfruttare al meglio: «La centralizzazione della vigilanza in ambito europeo è un processo complesso ma necessario, che potrebbe trovare attuazione anticipando la revisione dell’assetto delle autorità europee prevista per il 2014». La Commissione europea ha già avviato una riflessione in materia, ma non ha ancora definito proposte precise.

La necessità di un mercato finanziario unico è stata evidenziata dalle discussioni in corso sulla Tobin tax, su cui è tornato ieri il presidente della Consob. Come già in una precedente audizione in Parlamento, Vegas ha sottolineato «il rischio di spiazzamento, forse anche irreversibile, sui mercati, in termini di delocalizzazione di importanti comparti dell’industria finanziaria nazionale e di penalizzazione per l’operatività in strumenti derivati». Parole dunque che ricordano con preoccupazione quanto alta sia la posta in gioco e che richiamano i legislatori a valutare tutte le potenziali conseguenze del provvedimento. Per quanto riguarda la tassa sulle transazioni finanziarie in Italia, non sono ancora disponibili dati definitivi sull’impatto dell’imposta, che il Tesoro ha cercato di modificare per evitare elusioni e non penalizzare le imprese più piccole. Tuttavia Vegas ha messo in discussione il principio alla base di ogni possibile Tobin tax: se non viene adottata da tutti i Paesi allo stesso modo, se ne avvantaggiano quelli che non la introducono. Per l’Italia il paradosso è duplice, perché Borsa Italiana sarebbe penalizzata, con grande beneficio della controllante London stock exchange. I contrasti tra Paesi sono emersi con evidenza anche nell’ambito della proposta sulla Tobin tax europea, per il momento in fase di studio in undici Stati, tra cui l’Italia, che però critica con vigore la proposta di applicare la tassa anche ai titoli di Stato.

La fuga di capitali è un pericolo che Vegas ha evidenziato anche come conseguenza di regole troppo rigide. «L’illusione, spesso nutrita da molti, che il risparmio si possa tutelare semplicemente dotandosi di regole nazionali le più rigorose possibili si infrange contro la realtà dell’apertura globale dei mercati», ha osservato. «La fuga dei capitali e la delocalizzazione degli operatori finanziari verso ordinamenti più accomodanti possono vanificare del tutto l’efficacia di regole severe». La difficoltà delle scelte dei regolatori è perciò «trovare una posizione di equilibrio tra tutela e attrazione del risparmio. Ci muoviamo su un crinale scosceso e pericoloso». Il rischio di danneggiare i mercati con l’eccessivo rigore è ancora più preoccupante a causa della situazione economica: negli ultimi venti anni la propensione al risparmio degli italiani si è ridotta di quasi 2/3, passando dal 22 all’8% circa del reddito disponibile. Secondo il presidente della Consob, «senza risparmio non è possibile realizzare gli investimenti necessari per lo sviluppo economico e per offrire un futuro alle giovani generazioni».

I regolatori devono perciò avere un approccio «dinamico», che però non esclude il polso fermo riguardo a prodotti rischiosi per i piccoli investitori. «I caveat inseriti in prospetti informativi, spesso troppo estesi e illeggibili, da soli non bastano». Perciò Vegas ha supportato la proposta di product intervention, formulata nell’ambito dei lavori di revisione della Mifid: «Potrebbe essere adottata subito in Italia, anticipandone l’entrata in vigore con un apposito intervento legislativo, in modo da introdurre un potere di intervento delle autorità nazionali per vietare o limitare la distribuzione di specifici prodotti finanziari, ritenuti nocivi per gli investitori o dannosi per l’ordinato funzionamento dei mercati». (riproduzione riservata)