L’Istat ha fotografato un’Italia che soffre nel Rapporto annuale 2013. La crisi colpisce sempre più duramente le famiglie, un italiano su quattro vive in un’area di disagio economico, si riduce sempre più il potere d’acquisto, con consumi ai livelli degli anni 90 e la propensione al risparmio ai minimi, cresce il numero dei disoccupati e dei giovani che non lavorano e non studiano, domina la sfiducia nella politica e nelle istituzioni.

Erano 14,928 milioni, a fine 2012, gli italiani in una condizione di disagio economico o di deprivazione, circa il 25% della popolazione, in drammatica crescita rispetto al 16% del 2010.

Al Sud il disagio riguarda il 40% della popolazione. Si tratta di persone che non possono sostenere spese impreviste di circa 800 euro o fare una settimana di ferie all’anno lontano da casa, che ha arretrati per il mutuo, l’affitto, le bollette o le rate, che non riesce a permettersi un pasto proteicamente adeguato ogni due giorni o di riscaldare adeguatamente la casa, oppure di possedere elettrodomestici base o un’automobile.

L’Istat aggiunge che sono in grave disagio economico 8,6 milioni di persone, il 14,3% del totale, con un’incidenza più che raddoppiata rispetto al 6,9% del 2010.

La soddisfazione degli italiani per la propria situazione economica è in declino dal 2001, prosegue l’Istat, che però avverte i segnali di un peggioramento complessivo nel corso del 2012. Crolla del 4,8% il potere d’acquisto delle famiglie, una caduta di intensità eccezionale che si aggiunge ai cali dell’ultimo quadriennio (-1,4% nel 2008, -2,5% nel 2009, -0,5% nel 2010 e -0,6% nel 2011).

Il reddito disponibile delle famiglie, al netto dell’inflazione, è diminuito di quasi il 10%, ritornando a un livello pari a quello di 20 anni fa. Pesa la pressione fiscale, al 44% nel 2012, tra i livelli più elevati in Ue, mentre l’incidenza delle imposte correnti sul reddito disponibile delle famiglie è salita al 16,1%, il livello più alto dal 1990.

Ne deriva una flessione del 4,3% dei consumi, la più forte dall’inizio degli anni 90. Parallelamente, è diminuita la propensione al risparmio, molto inferiore alle famiglie tedesche e francesi, più vicina alle abitudini britanniche.

Alle difficoltà economiche, le famiglie hanno risposto tirando la cinghia, anche sul cibo.

L’emergenza italiana si chiama lavoro. Le persone potenzialmente impiegabili nel processo produttivo, secondo l’Istat, sono quasi 6 milioni, se ai 2,74 milioni di disoccupati si sommano i 3,86 milioni di persone che si dichiarano disposte a lavorare anche se non cercano (tra loro gli scoraggiati), oppure sono alla ricerca di lavoro, ma non immediatamente disponibili.

Tra il 2008 e il 2012 i disoccupati sono aumentati di oltre un milione di unità, da 1,69 a 2,74 milioni, ma è cresciuta soprattutto la disoccupazione di lunga durata (almeno 12 mesi, +675 mila unità) che ormai rappresentano il 53% del totale (44,4% la media Ue).

La peculiarità italiana sono i cosiddetti «Neet», i giovani (15-29 anni) che non studiano e non lavorano, arrivati a quota 2,25 milioni nel 2012, pari al 23,9%, quasi uno su quattro.

Il tasso di disoccupazione giovanile è aumentato di quasi il 5% in un anno, dal 20,5 al 25,2%, di 10 punti da inizio della crisi, nel 2008. In questo contesto, gli italiani non sanno a chi affidarsi. La situazione di profonda crisi sta minando profondamente la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e della politica. Unica eccezione le forze dell’ordine, in particolare i vigili del fuoco.

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