Pagina a cura di Tancredi Cerne  

Evasori con i giorni contati. Dopo un’impasse durata decenni, in appena tre settimane i vertici europei hanno decretato la fine del segreto bancario nel Vecchio continente con decorrenza a partire da gennaio 2015. La prima spallata ai paradisi fiscali è stata inflitta il 14 maggio scorso dai ministri delle finanze Ue riuniti a Bruxelles in occasione dell’Ecofin. Forti del voto a favore garantito da Austria e Lussemburgo, i 27 si sono trovati d’accordo nel dare mandato alla commissione europea di negoziazione una nuova intesa sulla fiscalità del risparmio con Svizzera, San Marino, Andorra, Monaco e Liechtenstein. Un primo importante passo in avanti nella creazione di un grande mercato unico delle informazioni fiscali condivise su scala europea, attivo a oggi soltanto su scala ridotta dopo l’accordo sottoscritto a inizio anno da Italia, Germania, Francia, Spagna e Regno Unito, sulla falsariga del Fatca americano. «Da diverso tempo l’Unione europea colloca il principio dello scambio automatico delle informazioni al centro della sua strategia», ha spiegato il presidente della commissione Ue, José Manuel Barroso, lasciando intendere la volontà di Bruxelles di sanare le posizioni ancora poco inclini allo scambio automatico di dati. Nella fattispecie, quelle di Vienna e del Lussemburgo.

Alle buone intese dell’Ecofin sono seguiti i fatti. E nemmeno 10 giorni più tardi, l’assemblea plenaria del parlamento di Strasburgo ha richiesto un intervento a gamba tesa dei paesi membri per dimezzare, di qui al 2020, il fiume di imposte evase ogni anno nel Vecchio continente: mille miliardi di euro, generati da lacune giuridiche, differenze tra i sistemi fiscali e mancanza di cooperazione. Per fare questo, gli eurodeputati hanno presentato una loro ricetta: concordare una chiara e comune definizione di paradiso fiscale e redigere una lista nera dei centri offshore. Ma anche bloccare ogni finanziamento comunitario o statale rivolto a imprese che hanno violato le norme fiscali comunitarie. E imporre a ogni impresa che concorre per un appalto pubblico di rivelare i dettagli di eventuali sanzioni o condanne per reati fiscali. A questo si aggiunga la necessità di concedere alle autorità pubbliche il potere di sciogliere il contratto se un fornitore viola gli adempimenti fiscali, successivamente al conseguimento dell’appalto. I deputati hanno poi esortato i governi nazionali a lavorare insieme per armonizzare le basi imponibili, far rispettare le misure per evitare che le imprese spostino i profitti nei paradisi fiscali, e migliorare il controllo incrociato dei dati doganali e fiscali in modo da ridurre le frodi Iva. Una serie di raccomandazioni a cui non è rimasto insensibile il consiglio europeo, riunitosi a Bruxelles a distanza di due giorni, il 22 maggio scorso.

Ai 27 capi di stato e di governo sono bastate poche ore di colloqui per arrivare a proclamare una storica sentenza: Austria e Lussemburgo dovranno rimuovere il segreto bancario e fornire informazioni su conti aperti nei propri istituti di credito a partire da fine anno. «I due paesi hanno condizionato a un accordo con i 5 paesi extra Ue (Andorra, Liechtenstein, Monaco, San Marino e Svizzera) il loro benestare alle proposte comunitarie in tema di totale scambio di informazioni», ha spiegato a margine della riunione il premier Letta. «Ma alla fine dell’anno si procederà con lo scambio automatico di informazioni tra paesi membri, che siano conclusi o no i negoziati con i cinque paesi extra Ue». Una soluzione inevitabile. A detta di tutti i leader Ue.

© Riproduzione riservata