di Roberta Castellarin e Paola Valentini

La riforma delle pensioni non è l’ultima in quanto è necessaria una revisione complessiva del welfare che deve essere ridisegnato per tenere conto della rivoluzione che in questi anni ha colpito la società italiana. «Le scarse risorse pubbliche che stanno portando a tagli alla sanità, le modifiche del mercato del lavoro, la riforma delle pensioni, l’aumento della speranza di vita sono tutti fattori che creano un nuovo contesto», spiega Mauro Marè, presidente del Mefop.

Sul tema è intervenuto anche il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, che nel corso dell’assemblea annuale dell’associazione ha dichiarato: «Visto che il nostro modello di welfare è messo in discussione dalle ristrettezze di bilancio pubblico, dall’evoluzione demografica e dal mutamento della domanda dei cittadini, diventa il terreno sfidante su cui forze sociali moderne, non conservative, devono confrontare e offrire soluzioni innovative». Squinzi invita le forze sindacali a cercare «un percorso comune» per «un moderno sistema di salute, di previdenza, di formazione e accompagnamento al lavoro».

Il problema è che oggi in Italia la spesa per il welfare è sbilanciata sul fronte delle pensioni, che pesano per il 16% del pil italiano. «È necessario quindi un ripensamento della composizione della spesa per il welfare.

Meno pensioni, più sostegno a giovani, single, maggior tutela della disoccupazione e forme di stabilizzazione del reddito», aggiunge Marè.

 

Anche le proccupazioni dei cittadini si stanno modificando. «Prima l’unica preoccupazione era legata alla pensione futura, adesso invece riguarda il sostentamento dei figli, l’evoluzione della vecchiaia, la tutela della salute, l’autosufficienza e altri servizi per il long term care», sottolinea Marè. È necessario quindi che lo Stato ripensi a un nuovo welfare integrativo privato. Qui entrano in campo numerosi strumenti. Dai fondi pensione ai fondi sanitari, dai fondi d’integrazione del reddito ai fondi per la formazione continua. «C’è un problema però: gli strumenti del welfare integrativo nascono in contesti e momenti diversi, ad esempio i fondi pensione alla fine degli anni 90, i fondi sanitari in anni più recenti», aggiunge Marè. «Occorre verificare perciò che la risposta ai bisogni del cittadino lavoratore sia moderna rispetto ai bisogni attuali, completa per evitare che tra i vari strumenti di copertura esistenti vi siano dei vuoti di tutela e coordinata per evitare sovrapposizioni. Occorre ragionare sui possibili meccanismi di coordinamento per aggiornare a rafforzare il modello di welfare integrativo attuale», dice Marè. Le soluzioni sono molteplici. Una strada può essere quella di arricchire, con un cambiamento della legge, i servizi offerti dai fondi pensione estendendone le prestazioni a forme di copertura sanitaria integrativa.

Oggi i fondi pensione non possono operare nel settore della sanità e dell’assistenza perché la normativa del 1993 ha circoscritto alla sola previdenza la loro attività, ma sono stati comunque coinvolti nella gestione delle spese sanitarie del lavoratore perché l’iscritto può richiedere il 75% del capitale accumulato per pagare cure e interventi straordinari (si veda box sotto). Un’altra formula prevede la creazione, sempre con un intervento legislativo, di un unico fondo di welfare integrato. Questo strumento ha il vantaggio di produrre economie di scala, ma è di complessa realizzazione perché mancano esperienze simili. «In un contesto sociale come quello attuale appare difficile e utopistico aspettarsi un coordinamento volontario dei diversi strumenti di welfare», ammette Marè. Anche Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza, è del parere che si debba agire al più presto con un provvedimento di legge per la riorganizzazione dello stato sociale: «Nell’ottica di realizzare un solido sistema di welfare in grado di rispondere alle crescenti esigenze di un Paese che invecchia sembra ragionevole abbattere gli steccati tra previdenza e assistenza complementare e convogliare in un unico soggetto giuridico le prestazioni pensionistiche complementari, quelle integrative sanitarie e le coperture dei rischi legati alla non-autosufficienza». Qualunque sia la strada che verrà scelta, una soluzione al problema di integrare il welfare pubblico e soprattutto la sanità va trovata al più presto perché tra disoccupazione in crescita, tagli alla spesa pubblica e allungamento della vita i cittadini avranno sempre più bisogno di forme di sostegno per continuare a invecchiare bene. Oggi infatti, nonostante le difficoltà per l’economia, gli italiani tracciano un quadro complessivamente positivo della loro qualità della vita, come emerge dal Rapporto annuale 2013 dell’Istat. «La soddisfazione per la salute è molto diffusa nonostante l’elevata età media della popolazione. L’80,8% degli individui di 14 anni e più esprime un giudizio positivo, mentre il 13,3% è poco soddisfatto e solo il 4,2% risulta per niente soddisfatto. Rispetto al 2011 la situazione è sostanzialmente invariata», spiega il Rapporto Istat.

D’altra parte, secondo i dati di Europ Assistance, per il 95% degli italiani benessere significa innanzitutto essere in buone condizioni fisiche. Una percentuale decisamente superiore alla media europea (75%) e al 67% degli Stati Uniti. Il problema è che la crisi è arrivata a intaccare anche i consumi per le cure sanitarie: il 27% degli italiani, secondo i dati Europ assistance, ha dovuto rinunciare alle cure mediche negli ultimi anni. Intanto solo il 44% ritiene che il Sistema sanitario nazionale garantisca accesso alle cure mediche a tutti i cittadini.

 

La prima conseguenza è l’aumento della spesa sanitaria privata, che oggi rappresenta il 22% del totale: l’82% è sostenuta direttamente dai cittadini, il 13,9% da fondi sanitari negoziali, casse e mutualità volontaria, il 3,7% da assicurazioni malattia. All’allungamento della vita media è strettamente legato il fenomeno della non autosufficienza. «È naturale pensare in prospettiva a un’ulteriore contrazione di risorse pubbliche per prestazioni sociali, a fronte della crescente domanda di assistenza di una popolazione in costante invecchiamento», aggiunge Corbello. Basti pensare che, secondo le stime del Censis, la quota di persone con disabilità sul totale della popolazione, oggi pari al 6,7% (4,1 milioni di persone), arriverà nel 2020 al 7,9% (4,8 milioni) e nel 2040 al 10,7% (6,7 milioni). Secondo Corbello è giunto il momento di avviare una riflessione sul futuro assetto del welfare italiano, dove la previdenza complementare (che attualmente coinvolge soltanto 5,5 milioni di lavoratori su un bacino di circa 23 milioni di persone) deve assumere un ruolo determinante. «Poter disporre di fondi pensione complementari in grado di offrire, con tutte le distinzioni del caso, coperture di assistenza e sanità integrativa garantirebbe un notevole risparmio e considerevoli economie di scala innegabili», conclude Corbello. Su questo argomento, secondo Assoprevidenza, l’iniziativa privata si è dimostrata molto sensibile giocando d’anticipo sulle istituzioni: sono infatti numerose le iniziative avviate, a livello locale e aziendale, per rispondere ai crescenti bisogni sociali di cittadini e lavoratori. Dal canto loro, dice ancora Assoprevidenza, gli enti previdenziali privati hanno messo a punto autonomamente misure di sostegno al reddito e di assistenza, anche sanitaria integrativa o di lungodegenza, tramite indennità, sussidi e polizze assicurative, per alleviare momenti di difficoltà dei propri iscritti e dei loro nuclei familiari. Ma tutto ciò non è sufficiente. Ci vorrebbe un piano complessivo che permetta una giusta integrazione su quanto offrono pubblico e privato in modo da evitare inutili duplicazioni a fronte magari di servizi non coperti né dal pubblico né dal privato. (riproduzione riservata)