di Simona D’Alessio  

La «morte» degli embrioni «lede il diritto al concepimento». E il danno, una volta accertata la responsabilità della struttura sanitaria in cui una coppia seguiva un percorso di fecondazione assistita, va risarcito. A stabilirlo è il tribunale di Milano, che per la prima volta ha riconosciuto un indennizzo (pari a circa 65 mila euro) per la perdita di tre embrioni a causa di un «blackout» elettrico avvenuto al Fatebenefratelli sei anni fa. Gli aspiranti genitori avevano visto andare in fumo la possibilità di concepire un figlio; il «trasferimento degli ovociti fecondati in utero», si legge, infatti, nel ricorso della difesa, era previsto per il 9 maggio 2007, tuttavia nella notte tra l’8 e il 9 maggio «si è verificato un cortocircuito» e «l’interruzione della corrente elettrica negli incubatori dove erano colturati gli embrioni» con la conseguente loro perdita. Nelle motivazioni della sentenza, appena depositate, il magistrato riconosce la «colpa» della struttura sanitaria che, nel corso della notte, «avrebbe dovuto comunque effettuare i doverosi controlli sulla efficienza dell’alimentazione di corrente, tanto più necessari per la delicatezza del materiale biologico contenuto negli incubatori». La coppia, pertanto, ha subito una «lesione del diritto al concepimento», che «fa parte delle fondamentali estrinsecazioni della persona umana, riconosciute dalla Costituzione». Considerando, infine, «la peculiarità della fattispecie» oggetto del ricorso, «la liquidazione del danno non può essere ancorata ai parametri tabellari consueti», bensì «postula la considerazione esclusivamente del caso concreto». E, dunque, a «titolo di risarcimento», l’ospedale milanese è tenuto a pagare.