È un quadro pieno di zone d’ombra quello tratteggiato dal rapporto annuale Istat presentato a Roma.  A causa delle crisi economica, nel 2012 oltre 6 famiglie italiane su dieci (62,3%) hanno adottato strategie di riduzione della quantità e/o qualità dei prodotti alimentari acquistati (quasi nove punti percentuali in più rispetto all’anno precedente).

Quasi 15 milioni le persone in condizione di disagio economico a fine 2012, il 25% della popolazione (40% al Sud); 8,6 mln in grave disagio, il doppio rispetto al 2010. Nel 2012 il potere d’acquisto delle famiglie italiane ha registrato una caduta “di intensità eccezionale” (-4,8%), con un calo del 2,2% del reddito disponibile e del 4,3% delle quantità di beni e servizi acquistati, la caduta più forte da inizio anni ’90.

Nel 2012 la propensione al risparmio delle famiglie italiane si è ridotta scendendo all’8,2%, ovvero 0,5 punti percentuali in meno del 2011 e 4 punti percentuali in meno rispetto al 2008. Il potere d’acquisto è in declino da ormai 4 anni. “A questo andamento hanno contribuito soprattutto la forte riduzione del reddito d’attività imprenditoriale e l’inasprimento del prelievo fiscale”, spiega l’Istat.

Ci sono altri segni lasciati dalla crisi che testimoniano l’indebolimento economico delle famiglie: tra il 2008 e il 2012, i residenti hanno effettuato il 36% di viaggi in meno e hanno ridotto del 29,1% le notti trascorse in viaggio, soprattutto per motivi economici. E non si taglia solo sulle vacanze.

La contrazione della domanda interna ha colpito tutti i principali settori economici, provocando una profonda e generalizzata caduta del valore aggiunto. A fine 2012 i livelli produttivi sono solo di poco superiori a quelli registrati durante la recessione del 2008-2009. La crisi ha colpito in modo particolare le costruzioni, seguono agricoltura e industria; gli unici settori in crescita sono le attività artistiche e di intrattenimento e le riparazioni di beni per la casa, mentre risultano stazionarie le attività finanziarie e assicurative.

L’inflazione si è attestata al 3%, due decimi di punto in più rispetto al 2011. La crescita dei prezzi al consumo in Italia è risultata fra le più sostenute nell’eurozona, inferiore solo a quella di Slovacchia e Estonia.

Ma la vera nota dolente rimane il lavoro: tra il 2008 e il 2012 si sono persi 506.000 posti di lavoro. Dall’inizio della crisi sono diminuiti di 950.000 unità gli occupati ‘standard’ (a tempo pieno e indeterminato sia dipendenti che autonomi) mentre sono aumentati di 425.000 unità quelli part time. Gli atipici (collaboratori e contratti a termine) sono cresciuti di 20.000 unità. Nell’ultimo anno si sono persi 69.000 occupati (-410.000 posti standard, +253.000 part time, +89.000 atipici).

Le persone potenzialmente impiegabili nel processo produttivo sono quasi 6 milioni, se ai 2,74 milioni di disoccupati si sommano i 3,08 milioni di persone che si dichiarano disposte a lavorare anche se non cercano (tra loro gli scoraggiati), oppure sono alla ricerca di lavoro ma non immediatamente disponibili.

Le famiglie con figli in cui nella coppia solo la donna lavora sono passate da 224mila nel 2008 (5% del totale) a 381mila nel 2012 (8,4%), in aumento del 70%. In aumento l’occupazione femminile nelle coppie in cui l’uomo è in cerca d’occupazione o disponibile a lavorare (+51mila sul 2011, +21,2%) o è cassintegrato (+20mila, cioé +53,9%). Ma il lavoro delle donne è meno pagato: la retribuzione netta mensile delle dipendenti è inferiore del 20% rispetto agli uomini.

Tra il 2008 e il 2012 i disoccupati sono aumentati di oltre un milione di unità, da 1,69 a 2,74 milioni, ma è cresciuta soprattutto la disoccupazione di lunga durata, ovvero le persone in cerca di lavoro da almeno 12 mesi (+675.000 unità) che ormai rappresentano il 53% del totale (44,4% la media Ue).