Vittoria Puledda

Milano «N on c’è dubbio che il capitalismo dei salotti e dei vecchi equilibri stia cambiando: sta cambiando in Generali, in Pirelli, in Rcs. Se poi lo stia facendo in meglio o in peggio, lo vedremo ». Salvatore Bragantini il sistema finanziario italiano lo conosce bene: da quando, commissario Consob, faceva il guardiano del mercato, a quando, qualche tempo più in là, aveva cercato di lanciare un sistema alternativo di finanziamento delle imprese, attraverso la non felice esperienza del Mac. Da dove è partito il cambiamento? «Quello che sta emergendo è che il vecchio modello sta cadendo a pezzi. La centralità di Mediobanca è chiaramente finita, anche se resta un attore importante; le Generali sembra non vogliano più essere il soldatino a comando di Mediobanca; vedremo cosa succederà in Pirelli e Rcs. Se un investimento va male, nel capitalismo le perdite le assorbono prima gli azionisti e poi le banche, non possono e non devono essere in prima battuta le banche a farsi carico dei problemi. Checché ne pensino alcuni azionisti, convinti che la partecipazione al Corriere li esenti dalla legge di gravità della finanza: in cima alla lista c’è l’azionista ». Cosa ha fatto da detonatore? «Almeno tre ragioni. In primis il quadro economico: la crisi fa sì che ci sia meno grasso e quindi che ognuno debba badare a risolvere i problemi in casa sua. Prendiamo Pesenti, in questa fase pensa prima ai problemi del suo gruppo, poi a Rcs. Un altro fattore sono i passaggi generazionali: la famiglia Benetton è entrata in Rcs con Gilberto, Alessandro è probabilmente meno interessato all’editoria ». E la terza ragione? «C’è da considerare l’estraneità del modello italiano al capitalismo che c’è in giro per il mondo, la distanza di questo modello rispetto ad un capitalismo moderno». In parte hanno giocato anche le nuove regole sul capitale di banche e assicurazioni. «Certamente le nuove regole hanno contribuito e sono state a loro volte conseguenza della crisi. E’ giusto che banche e assicurazioni tendano a ridurre la volatilità del bilancio e ormai la stabilità di banche e assicurazioni è diventato imperativo assoluto, ma anche disincentivare del tutto gli investimenti in capitale di rischio non va bene. Bisognerà individuare altri soggetti che investano al posto di banche e assicurazioni, altrimenti il sistema non cresce». A chi sta pensando? «Servono investitori istituzionali, fondi comuni e fondi pensione, che facciano questo tipo di investimenti. Ma anche le assicurazioni non vanno del tutto scoraggiate dal farlo». In quali gruppi è più visibile il cambiamento? «Fiat per certi versi, con l’arrivo del ‘marziano’ Marchionne, peraltro impegnato in una partita che pare più politica che aziendale con la Fiom; Generali, dove mi sembra evidente il desiderio di cambiare registro. Vedremo come andrà a finire in Pirelli, dove è in corso una battaglia che speriamo non danneggi troppo l’azienda. Di Rcs abbiamo già detto». In altri gruppi il capitalismo relazionale ha creato fragilità industriali, aggravate dalla recessione. «Italcementi ha i suoi problemi di matrice aziendale. Telecom invece è rimasta vittima di scalate a debito poco consone al nostro capitalismo relazionale, e ora ha i problemi che sappiamo. Comunque, è un momento di cambiamenti: in alcuni casi con un’evidente tendenza al miglioramento, come in Generali, altrove si deve ancora capire dove volgerà il barometro». C’è un’altra grande battaglia, in cui per un periodo è stato anche coinvolto, come consigliere: quella di Unipol-Fonsai. «In quel caso c’era un creditore subordinato, Mediobanca, che voleva proteggere le sue ragioni di credito nelle due compagnie. In una, spetterà ai tribunali giudicare come era gestita, l’altra aveva a sua volta un prestito subordinato con Mediobanca. A sua volta Fonsai aveva un giardinetto di partecipazioni ora gestite da Unipol, ritengo presumibilmente sotto la regia di Mediobanca. Fin d’ora, mi sembra si possa sottolineare il diverso atteggiamento verso la ricapitalizzazione di Rcs di Generali, in cui pure Mediobanca è il principale azionista, e di Unipol, di cui Mediobanca è solo creditore; vedremo chi ha ragione, in queste cose il tempo è galantuomo». Dove ha fatto più danni il capitalismo dei salotti? «Nella finanza. Ma è anche vero che la grande impresa in Italia è sparita e qui c’entra la finanza e il vetero-salotto buono, che non ha fatto crescere altri protagonisti. Del Vecchio, Benetton, il mondo della moda, sono cresciuti tutti fuori dalla finanza italiana. Peraltro Benetton si è rapidamente trasformato in un percettore di rendite oligopolistiche. Il sistema dei salotti buoni non ha aiutato la crescita delle medie imprese e non è riuscito ad aiutare fino in fondo quelle già grandi. Ma un cenno lo merita anche il mondo delle grandi Popolari con capitale sociale diffuso fra il pubblico. Popolari nelle quali piccoli gruppi di potere, sindacali o imprenditoriali, gestiscono realtà importanti in modi totalmente autoreferenziali. Inutilmente, da anni la Banca d’Italia cerca di affrontare il problema. La lobby ‘popolare’ le ha finora gagliardamente tenuto testa ». Fattori positivi, invece? «Il Codice di autodisciplina ha aiutato, così come il voto di lista, la record date o il regolamento sulle operazioni con parti correlate. Ma non bisogna pensare che basti e ora ci si possa addormentare». Accanto, un’immagine di Piazzetta Cuccia, quartier generale di Mediobanca Nel grafico qui sopra, il patto di sindacato che controlla Rcs Qui sopra, Salvatore Bragantini, già commissario Consob e presidente del Mac