Giovanni Pons

La battaglia per assumere il controllo di Fonsai ha assunto negli ultimi giorni toni molto aspri. Il luogo in cui si sono consumati gli scontri è stato il consiglio di amministrazione della compagnia finora guidata dai Ligresti, e un ruolo importante l’hanno avuto i consiglieri indipendenti in quanto la fusione per la Grande Unipol è un’operazione con parti correlate. Cui si è aggiunto un grande stuolo di advisor, uno o due per tutte e quattro le società coinvolte nell’operazione. Ma alla fine il grande interrogativo di questa grande fusione è sempre rimasto il seguente: può una compagnia come Unipol, i cui conti non hanno certo brillato negli ultimi anni, con all’attivo 4 miliardi di obbligazioni strutturate (in gran parte prodotti Jp Morgan comprati durante la gestione Salvatori) fare la parte del leone nell’operazione e pretendere di avere più del 60% delle azioni della nuova compagnia? In Fonsai, con molta fatica, i danni provocati dai Ligresti alla fine sono venuti alla luce: 2 miliardi di perdite, operazioni immobiliari e consulenze con parti correlate. In Unipol, invece, un’operazione di pulizia non è stata fatta ed è forte il dubbio che, con il supporto dei grandi creditori Mediobanca e Unicredit, le magagne vengano annegate in un calderone più grande. Chi paga il conto? I soci di minoranza Fonsai, già penalizzati dalla discesa del titolo, che devono trangugiare un concambio iniquo più il costo delle ricapitalizzazioni.