di Francesco Ninfole

Unicredit convince Piazza Affari con profitti sopra le attese e indici di capitale e liquidità raggiunti in anticipo rispetto alla tabella di marcia. Il gruppo ha chiuso il periodo con un utile netto di 914 milioni, in crescita del 13% rispetto a un anno prima: il valore è andato oltre le stime degli analisti, che si aspettavano circa 800 milioni, e in borsa il titolo è salito del 6,76% a 2,84 euro. Se si escludono i fattori straordinari (tra cui una plusvalenza da 477 milioni per il riacquisto di titoli subordinati), l’utile è arrivato a 444 milioni, un valore superiore dell’80% rispetto al trimestre precedente, anche se inferiore del 45% su base annua. La ripresa del primo trimestre è legata a «un buon risultato di negoziazione, il repricing in Italia, rigorosi controlli sui costi e un’intensa attività della clientela», ha spiegato la banca. Come tutto il settore, il gruppo ha risentito positivamente degli effetti delle aste Bce e di un clima più favorevole dei mercati, anche se il contesto macro è peggiorato rispetto al primo trimestre 2011 (cioè prima del contagio della crisi del debito all’Italia). Dopo aver concluso un aumento di capitale da 7,5 miliardi, servito in gran parte per la pulizia degli avviamenti in bilancio, Unicredit ha accelerato sul patrimonio. Il Core Tier 1 si è attestato a fine marzo al 10,3% secondo Basilea 2.5 e «al di sopra dell’obiettivo 2012 del 9% secondo Basilea 3», ha spiegato il ceo Federico Ghizzoni. Il miglioramento è legato anche alla riduzione degli asset ponderati per il rischio per 4,3 miliardi. In progresso anche la liquidità. Grazie anche alla diversificazione geografica, Unicredit ha completato il 44% del piano di finanziamento per l’intero anno (51% per l’Italia). La liquidità è migliorata anche perché i depositi sono aumentati del 2%, mentre il credito nei Paesi Occidentali ha frenato (-1,7%). Il rapporto tra crediti e depositi del gruppo è così sceso dal 140 al 136%. Il calo degli accantonamenti su crediti (-7%) ha sorpreso positivamente gli analisti. A livello di gruppo il costo del rischio è diminuito, ma in Italia resterà ancora «sotto pressione», ha previsto Ghizzoni. «La domanda di credito per investimenti è stata bassa, ma a fine anno potrebbe esserci una ripresa», ha spiegato Ghizzoni. Il ceo ha comunque spiegato che, in merito agli indici di liquidità di Basilea 3, «occorre essere molto attenti a fissare limiti troppo stringenti, visti i possibili effetti prociclici ». I mercati interbancari, per il ceo, «non sono ancora pienamente operativi», mentre «le emissioni obbligazionarie sono cresciute, ma il mercato resta umorale». Unicredit vede margini di miglioramento nel collocamento di bond retail. Quanto invece alle discussioni in corso nell’Ue sulla flessibilità dei requisiti patrimoniali per i singoli Paesi (questione che coinvolge Unicredit in quanto gruppo transfrontaliero), Ghizzoni è a favore di un sistema comune europeo: «L’Ue deve decidere che tipo di sistema bancario vuole avere. Siamo favorevoli, come il governo italiano, a una soluzione unica Ue per Basilea 3», ha osservato. «Oggi in Europa non ci sono le condizioni per una libera circolazione di liquidità e di capitale», ha aggiunto, in riferimento anche alla possibile riallocazione del capitale in eccesso nelle controllate tedesche (che tuttavia, secondo Ghizzoni, per effetto di Basilea 3 sarà inferiore a quanto stimato dagli analisti). Sulla cedola, invece, «l’idea è tornare a distribuire dividendi. Per quanto lo si deciderà durante l’anno», ha precisato Ghizzoni. Nel trimestre il gruppo ha ridotto costi (-0,5%) e personale (mille posti), mentre la liquidità della Bce è stata investita solo marginalmente in bond governativi: i titoli di Stato italiani restano attorno ai 40 miliardi («il livello giusto» per il ceo). Da luglio intanto il nuovo a.d. di Pioneer sarà Sandro Pierri, che prenderà il posto di Roger Yates. Mentre sul sostituto di Fabrizio Palenzona nel cda Mediobanca, Ghizzoni taglia corto: «Deciderà il consiglio». (riproduzione riservata)