Mariano Mangia

Roma “Molti sistemi pensionistici del mondo occidentale hanno fatto assegnamento sui rendimenti relativamente elevati dell’investimento azionario per finanziare le prestazioni future. C’è un crescente, forte, consenso sul fatto che in futuro i rendimenti corretti per il rischio delle azioni saranno inferiori rispetto a quelli degli ultimi due o tre decenni. Così, molto probabilmente il problema del sottofinanziamento delle pensioni avrà difficoltà, nel corso dei prossimi anni, a ‘guadagnare l’uscita’”, questa l’opinione di Olivia Mitchell, International Foundation of Employee Benefit Plans professor presso la Wharton School nonchè docente di Insurance & Risk Management e Business/Public Policy, che interverrà anche all’edizione 2012 del Festival dell’Economia di Trento. Il problema dell’underfunding, il sottofinanziamento delle prestazioni pensionistiche future colpisce i sistemi a prestazione definita, più diffusi nel mondo anglosassone, ma in fase di progressivo abbandono. In questi fondi l’ammontare della prestazione è stabilito in anticipo e sono gli importi dei contributi che dovrebbero essere periodicamente adeguati per poter mantenere quanto promesso, ma non sempre le finanze aziendali lo consentono. L’andamento altalenante dei mercati finanziari crea difficoltà anche ai fondi pensione che adottano il sistema a contribuzione definita, come quelli italiani, nei quali la prestazione finale dipende dall’ammontare complessivo dei versamenti e dai rendimenti ottenuti dal loro impiego sui mercati finanziari. Bassi rendimenti si traducono in basse prestazioni, in assegni pensionistici modesti. Deve cambiare allora il modo di investire dei fondi pensione? “Alcuni fondi stanno rispondendo a questo nuovo scenario spostando i loro investimenti verso strumenti come gli hedge fund, i fondi di private equity e così via. Personalmente non sono sicura che i rendimenti — corretti per il rischio — si troveranno lì”. Un problema di rendimenti, ma anche di rischio, perché sono numerosi i rischi che si affrontano nel risparmio previdenziale. Come si possono affrontare e gestire al meglio? “Per quanto riguarda il rischio di mercato, il rischio connaturato all’investimento sui mercati finanziari, la mia opinione è ‘non si può ottenere protezione gratis’: se vuoi attività finanziarie sicure, prive o quasi di rischio, devi rinunciare in tutto o in parte ai rendimenti. Un altro rischio rilevante nell’ottica della pianificazione previdenziale è il rischio inflazione e qui abbiamo bisogno che i governi emettano obbligazioni inflation — linked con una duration (la durata media finanziaria) molto lunga”. E per quanto riguarda il rischio di longevità, il rischio cioè di vivere oltre le aspettative di vita e quindi di rimanere privi di sostentamento nell’età più avanzata? “Se per il rischio inflazione la risposta deve venire dal pubblico, per fronteggiare il rischio longevità è il settore privato che dovrebbe essere in grado di offrire attività, prodotti cartolarizzati, anche se non è ancora chiaro come. Non va dimenticato, poi, il rischio politico, inteso come il rischio derivante da futuri cambiamenti nell’imposizione fiscale o nell’ammontare degli assegni pensionistici, ma non c’è nulla che possa proteggerci da questa incertezza!”. In alcuni suoi lavori, lei individua anche un altro tipo di rischio, quello individuale, ossia la capacità di gestire oculatamente la pianificazione previdenziale, tanto nella fase di accumulazione che nella fase di decumulo. In questo ambito c’è un’altra fonte di rischio che affrontano gli aderenti a un piano pensionistico nella fase di contribuzione ed è quello che deriva dalle fluttuazioni dei redditi durante la vita lavorativa, dalla possibilità di perdere il lavoro o di attraversare periodi in cui si è privi di un reddito stabile. “Vero — risponde — oggi, ad esempio, solo il 14 per cento dei lavoratori Usa rientra nel classico profilo a ‘gobba’ dell’andamento dei redditi durante la fase lavorativa; una eguale percentuale evidenzia una riduzione dei redditi reali nella mezza età, un altro gruppo regista un andamento piatto dei salari e, ancora, c’è una porzione di lavoratori che ha redditi calanti a partire da un’età piuttosto giovane”. Per il rischio individuale la risposta è l’istruzione finanziaria. Numerose ricerche hanno dimostrato che la competenza finanziaria ha un impatto rilevante nella pianificazione previdenziale e che rafforzare nei consumatori la conoscenza di elementi di base di economia e di finanza potrebbe migliorare il benessere nella fase di pensionamento. L’Italia è tra i paesi con il livello più basso di alfabetizzazione finanziaria, stando ai risultati dello studio ‘Financial literacy around the world’condotto da lei e da Annamaria Lusardi della George Washington University. Quali misure allora possono essere adottate? “C’è la necessità di insegnare ai ragazzi delle scuole superiori concetti come la diversificazione del rischio, l’interesse composto, l’inflazione. Ma c’è anche l’esigenza di avere una formazione finanziaria sul posto di lavoro, per aumentare la consapevolezza della necessità di risparmiare per la pensione. C’è, infine, un’ulteriore esigenza: incoraggiare quegli aspetti che favoriscono un accesso ritardato alla pensione, come, ad esempio, programmi di formazione e di riqualificazione per lavoratori di mezza età, così che le persone trovino un mercato per le loro competenze e possano continuare a lavorare fino a sessant’anni avanzati od oltre i settanta”. Numerose ricerche hanno dimostrato che la competenza finanziaria ha un impatto rilevante nella pianificazione previdenziale e potrebbe migliorare il benessere Olivia Mitchell, International Foundation of Employee Benefit Plans professor presso la Wharton School