Non si sono mai capiti i motivi dell’innamoramento del Financial Times per Matteo Arpe, il banchiere salito agli onori della cronaca nel 1999 quando, a soli 34 anni, in qualità di top manager di Mediobanca fu uno degli artefici dell’opa Olivetti su Telecom Italia. Allora, come avrebbe detto Ennio Flaiano nella sua celebre descrizione della parabola del tipico scrittore italiano, era una giovane promessa. Nel tentativo di diventare un venerato maestro, 13 anni dopo e con qualche insuccesso alle spalle Arpe si è lanciato alla conquista di FonSai, presentandosi come il vento della novità che spazza via il vecchio. Il FT ha fatto propria questa narrazione e ieri il giovanotto che verga le cronache dall’Italia (senza dubbio un campione d’indipendenza, in puro stile british) ha dato spazio ai proclami battaglieri del non più giovane Arpe. Che si è presentato in questo modo: «Se riusciremo» nell’impresa di conquistare FonSai, «sarà un segnale per la comunità internazionale» che «il cambiamento in Italia è possibile», proprio come ha fatto il governo Monti. Paragone quanto mai infelice, visto che gli obiettivi che si era fissato il premier professore sembrano allontanarsi ogni giorno di più, mentre lo spread è tornato a salire alle stelle a dispetto del rigore tedesco di cui Monti si vantava fino a ieri. Se andrà avanti con narrazioni così sgangherate, è facile pronosticare che il povero Arpe resterà confinato per sempre nel limbo della fase due del tipico scrittore italiano. (riproduzione riservata)