È stato quanto mai opportuno l’editoriale di MF-Milano Finanza del 18 maggio sui «due tribunali per una sola scalata» riguardante lo svolgimento di due giudizi, rispettivamente presso la Corte di Appello di Milano, dopo la sentenza di primo grado di quel tribunale, e presso il tribunale di Roma, sulla medesima vicenda: il tentativo di scalata alla Bnl da parte di Unipol. Opportuno perché l’articolo ha fatto da battistrada; ha stimolato una riflessione che anche ieri è stata seguita da diversi altri giornali nazionali con i medesimi dubbi e le medesime esigenze di chiarimento. Il famoso mugnaio di Bertold Brecht non potrebbe dire che «c’è un giudice a Berlino» perché nella fattispecie si imbatterebbe in due collegi giudicanti, in due diverse sedi a gloria (si fa per dire) dei principi di civiltà giuridica: nell’ordine, del ne bis in idem e del giudice naturale precostituito per legge, dal quale nessuno può essere distolto: principi che in nuce sono presenti sin dal XIII secolo con Giovanni Senza Terra. C’è, insomma, da chiedersi – ed è questione generale, di grande interesse per un giusto processo, come voluto dalla Costituzione, che trascende la vicenda della tentata scalata – se sia ammissibile frazionare nel tempo la medesima ipotesi di reato, spezzettandone la competenza su più tribunali, dopo comunque avere ravvisato in questa ipotesi, da parte della magistratura inquirente, un evidente filo conduttore. Portando alle estreme conseguenze tale scelta assisteremmo, applicandola ad altre eventuali vicende, a una sorta di moltiplicazione dei pani e dei pesci, per cui il presunto unico reato potrebbe essere moltiplicato a seconda del luogo sul territorio nazionale nel quale eventualmente venisse commesso. E ciò dopo avere affermato, con una scelta invalsa diversi anni fa, ma sulla quale bisognerebbe oggi approfonditamente riflettere quanto meno in sede giurisprudenziale, che competente a indagare e quindi a giudicare per i reati finanziari che si traducano in comunicazioni di borsa sono procura e tribunale di Milano, sede appunto della borsa. Il che fa sorgere un interrogativo neppure tanto scherzoso: che cosa succede se la sede di quest’ultima si spostasse all’estero? Non ripercorro le non poche contraddizioni e le opinabilità della sentenza di primo grado che ha comminato diverse condanne per aggiotaggio e ostacolo all’attività di vigilanza ad alcuni e per concorso morale in aggiotaggio – l’espressione già dice molto – nei confronti dell’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, il quale, difendendosi nel processo e mai dal processo, rigorosamente rispettando l’azione dell’autorità giudiziaria, non parlando mai sulla stampa per ben sette anni, ha dimostrato con i suoi legali la puntuale correttezza del suo operato nella vicenda giudicata. Non riprendo la necessità, che si è posta agli imputati, di difendersi da diverse formulazioni delle imputazioni succedutesi, a seguito di modifiche progressivamente introdotte nelle varie fasi dell’iter del procedimento. Contro questa sentenza, come accennato, è in corso il giudizio di appello, appunto a Milano. E ciò accade proprio quando emerge, in tutta la sua pericolosità di contagio, la condizione delle banche spagnole, che all’epoca della vicenda Bnl-Unipol erano presentate, da sedicenti esperti, come taumaturgiche. Si è visto. È una coincidenza, a sette anni appunto dalla vicenda in questione, quasi una manifestazione dell’astuzia della storia. In realtà, si è dovuto assistere, nel giudizio di primo grado, alla requisitoria di un pm che ha parlato di vigilanza bancaria medievale, a proposito di quella condotta durante il governatorato Fazio, che invece ha prodotto la più grande ristrutturazione bancaria degli ultimi 70 anni. Se il risultato è quello oggi sotto gli occhi di tutti, e tutti conoscono la situazione in cui versano altri sistemi bancari, allora va pure bene l’aggettivo adottato da quel magistrato, evidentemente nell’inconsapevolezza della forte rivalutazione del Medioevo degli ultimi anni. Non riprendo neppure analoghe considerazioni che potrebbero svolgersi sulla sentenza di primo grado nel processo Antonveneta, anche in questo caso per il ritorno di attualità di quest’altra vicenda. Ne ha scritto, a suo tempo, MF-Milano Finanza. Comunque, il caso Bnl-Unipol solleva acuti problemi normativi e di concreta gestione. Lascerebbe un vuoto grave l’assenza di un confronto con misure correttive che siano previste dall’ordinamento e si manifestino nel processo o che, comunque, rientrino nella competenza di organi superiori, con particolare riferimento all’anomalia della richiamata contestualità dei due giudizi. È infatti una vicenda che non riguarda solo chi è sub judice, o le sedi giudiziarie di Milano e Roma, ma fa emergere questioni che sarebbe interesse della collettività affrontare e risolvere, al di là dei rimedi che il secondo grado adotta quando i giudizi precedenti presentano non pochi rilievi. Sono in ballo, e già basterebbe, decisioni che riguardano le singole persone – e su queste decisioni si esprime rispetto per la magistratura giudicante – ma potrebbero riguardare in futuro altre persone. E allora sarebbe normale il principiis obsta. (riproduzione riservata)