di Mauro Bottarelli

Nei fatti, a sgomberare il campo da ogni possibile dubbio, ci aveva pensato lo scorso 2 aprile il numero uno di Unicredit, Dieter Rampl, parlando a Cernobbio: «Siamo entrati per tutelare il nostro credito », aveva detto. Ecco quindi che l’addio di Piergiorgio Peluso alla banca guidata da Federico Ghizzoni per approdare al ruolo di direttore generale di FonSai, il gruppo assicurativo controllato dalla Premafin della famiglia Ligresti, appare la chiara e logica conclusione di un percorso. Peluso è il manager che ha trattato per Unicredit (dove attualmente è capo del Corporate Italia) la ristrutturazione di Fon-Sai, compresa la partecipazione all’aumento di capitale.

Gli accordi raggiunti alla fine di marzo prevedono che l’istituto milanese sottoscriverà una quota pari al 6,6 per cento della compagnia investendo 170 milioni. La banca entrerà nella governance attraverso un patto parasociale triennale con Premafin: piazza Cordusio nominerà tre amministratori di FonSai, di cui due nel consiglio esecutivo oltre al presidente del collegio sindacale. Peluso sarà quindi una sorta di controllore chiamato a «supportare il gruppo Ligresti ma anche a pretendere che venga ristrutturato nei modi e nei tempi dovuti», tanto per citare ancora Rampl.

Unicredit è entrato nel gioco non solo per motivi di tutela del credito, ma anche per tenere sott’occhio quei pacchetti azionari che Salvatore Ligresti, il signor 5 per cento, ha rastrellato e messo proprio nel portafoglio FonSai. Pacchetti che pesano e peseranno in tante partite che si apriranno da domani, soprattutto dopo lo tsunami che ha colpito Cesare Geronzi.

Quella posta in essere da Unicredit è una chiara messa sotto tutela di interessi propri e di sistema, se così possiamo definire quelll’intreccio di potere che passa attraverso le partecipazioni sensibili detenute nel portafoglio di Fonsai: 5% di Mediobanca, 5% di Rcs, tanto per citare le più significative. Appare chiaro che i padroni di Unicredit, ovvero le fondazioni di Torino e Verona, non vogliono che quote determinanti per gli assetti del potere finanziario cadano nell’orbita di personaggi fuori dal loro controllo, come il finanziere bretone Vincent Bollorè, benedicente dell’ingresso di Groupama in Premafin, poiché a quel punto di rafforzerebbe enormemente la posizione del francese in Mediobanca. Bollorè è vice-presidente di Generali, formalmente un concorrente di Fondiaria-Sai: per questo è stato criticato il suo ingresso in Premafin, con siderato come prodromo dell’alleanza FonSai-Groupama. Bollorè ha negato e continua a negare, ma è chiaro che la partita sta assumendo rilievi e profili che travalicano la mera ristrutturazione societaria del gruppo Ligresti e delle sue controllate, FonSai in testa.

Non va dimenticato che la Consob non ha dato il via libera all’operazione messa in piedi da Ligresti con i francesi di Groupama. O meglio, ha subordinato l’autorizzazione al lancio dell’Opa, termine che rappresenta per l’Ingegnere siciliano il corrispettivo dell’aglio per i vampiri. Lo stop è arrivato dopo un voto quasi all’unanimità da parte della nuova commissione, quella guidata da Giuseppe Vegas, per molto tempo uomo di fiducia di Giulio Tremonti al ministero dell’Economia. Che la scelta di Peluso rappresenti, oltre a una messa sotto tutela di FonSai da parte di Unicredit, una contromossa simbolica – ma nemmeno troppo – in nome di un arrocco dell’italianità gradita al ministero di via XX Settembre e spalleggiata dal voto della Consob tremontiana? Dopo lo scorno per l’epilogo della vicenda Parmalat-Lactalis e il cambio di strategia interno a Unicredit nel dopo-Profumo, con le fondazioni ormai al potere e i palazzi della politica ben presenti, le partite potrebbero incrociarsi. Una cosa è certa: le partecipazioni sensibili in mano a Ligresti saranno fondamentali per scardinare la cassaforte del sistema Italia. Lo sa Bollorè, lo sa Rampl, lo sanno al ministero dell’Economia e alla Consob. E, cosa forse ancora più importante e da non sottovalutare, lo sa anche Ligresti.