L’Italia che investe è poco equilibrata. Nel 2010 i risparmiatori italiani che possiedono soltanto depositi, titoli di Stato o risparmio postale rappresentano l’80% del totale. Una percentuale rimasta invariata rispetto ai due anni precedenti. Tra chi invece investe in strumenti finanziari più rischiosi, come bond, azioni e risparmio gestito, dilaga la moda dei prodotti strutturati.

In termini assoluti, il dato più eclatante riguarda infatti il costante incremento dell’esposizione delle famiglie italiane verso prodotti complessi, passata da 199,3 miliardi di euro di fine 2009 a 212,8 miliardi, in crescita del 10,2%. Un record, visto che nel 2007 i prodotti strutturati collocati presso i risparmiatori retail erano poco meno di 150 miliardi di euro. E un’anomalia tutta italiana perché in Germania la quota di questi prodotti è inferiore ai 150 miliardi, mentre in Francia, in Spagna, in Belgio e nel Regno Unito è compresa tra 50 e 100 miliardi. Tale esposizione è legata in larga misura al possesso di obbligazioni strutturate (64,7% circa delle consistenze a fine 2010), di polizze assicurative (24,6%), di certificate (7,8 %) e di fondi strutturati (2,8 %). Ma perché in Italia i prodotti strutturati hanno così successo anche nel confronto con gli altri Paesi europei? «L’elevato grado di diffusione presso gli investitori retail di obbligazioni e di prodotti strutturati è in parte ascrivibile alla scarsa diffusione del servizio di consulenza», si legge nella relazione della Consob, anche per una scarsa fiducia nel sistema finanziario. Secondo un sondaggio di Gfk Eurisko, le famiglie che dichiarano di prendere le decisioni di investimento senza alcun supporto da parte di intermediari finanziari sono il 25% del totale; poco meno del 10% riceve un servizio di consulenza finanziaria a seguito di specifica richiesta. La percentuale delle famiglie che vengono contattate da un intermediario finanziario senza, tuttavia, ricevere proposte di investimento personalizzate su uno specifico strumento finanziario si è invece raddoppiata, passando dal 9% nel 2007 al 18% circa nel 2010. Risultato? Un portafoglio sbilanciato verso impieghi liquidi o molto rischiosi. Con un grande assente nei portafogli, le azioni: soltanto poco più del 5% delle famiglie italiane investe in Piazza Affari.

Paola Valentini