Nei primi quattro mesi la raccolta del settore si è ridotta di oltre il 30% rispetto allo stesso periodo 2010, quando c’era stato un vero boom Netta frenata per tutti i prodotti. Ma l’industria punta a chiudere l’anno in crescita 

di Anna Messia

Che le polizze assicurative Vita non fossero più il prodotto in cima alla lista delle preferenze dei risparmiatori si era capito da un po’. Da agosto dello scorso anno la raccolta registrata mese dopo mese aveva iniziato a flettere rispetto allo stesso periodo 2009. Ma nonostante la frenata di fine anno il 2010 si era chiuso comunque con un bilancio da record: le polizze Vita, grazie anche ai benefici effetti dello scudo fiscale, erano riuscite a raccogliere in 12 mesi più di 63 miliardi di euro.

Una cifra monstre che rappresenta il miglior risultato mai registrato dall’industria nella sua storia e un nuovo record rispetto ai già sorprendenti 59 miliardi di un anno prima. Ora l’idillio si è rotto: nel primo quadrimestre il mercato delle polizze Vita ha registrato una flessione del 35,4%, fermo a 17,5 miliardi, e il calo di raccolta ha investito indistintamente tutti i prodotti e tutti i canali di vendita, nessuno escluso. Che cos’è successo? Alla naturale flessione (nessuno si aspettava che il ritmo di crescita degli ultimi due anni potesse continuare a lungo) sembrano essersi aggiunti fattori contingenti che rischiano di tradursi in una sorpresa poco gradita nei bilanci di fine esercizio. La difficoltà maggiori si riscontrano tra gli sportelli bancari, che tengono nelle loro mani più del 60% del mercato Vita e in questi mesi stanno trascurando le polizze concentrandosi su altri prodotti.

Solo ad aprile la raccolta realizzata tramite questo canale è calata addirittura di oltre il 40%. Gli istituti, presi dalle ricapitalizzazioni richieste in questo periodo dalla Banca d’Italia e dagli stringenti vincoli di bilancio in vista di Basilea 3, preferiscono, insomma, collocare prodotti che impegnino meno capitale possibile. E le polizze, insieme al risparmio gestito più in generale, sono costrette a passare in secondo piano rispetto alla raccolta diretta, fatta per esempio con conti di deposito, o con obbligazioni bancarie. E anche le compagnie di assicurazione, che presto dovranno fare i conti con Solvency II, stanno indirizzando i clienti verso prodotti che richiedono minor accantonamento di capitale possibile. «In questo periodo stanno tornando di moda le polizze unit linked che offrono al cliente una protezione del capitale con la metodologia Cppi», spiega Sergio Pollini, consulente senior di Iama consulting. Prodotti che in realtà in passato hanno dimostrato più di qualche limite nel riconoscere ai sottoscrittori rendimenti interessanti, ma che in questa fase di mercato riescono ad attrarre i clienti ancora in cerca di sicurezza e consento no al contempo alla compagnia di accantonare meno capitale (1%), rispetto ad altri prodotti assicurativi dove la garanzia è effettiva (4%) e non di tipo tecnico (come appunto nella gestione Cppi).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche per le polizze tradizionali (quelle di ramo I e V), che prevedono una gestione separata e riconoscono ai clienti un rendimento minimo, il momento non è per niente facile. Da inizio anno c’è stata una flessione del 59% delle polizze di capitalizzazione (ramo V). E il ritocco all’1,25% dei tassi d’interesse deciso dalla Banca centrale europea lo scorso aprile in più di qualche caso ha ridotto il vantaggio competitivo di cui hanno goduto finora questi prodotti con i tassi ai minimi storici. Le gestioni separate, con in pancia vecchi titoli, sono riuscite a pagare rendimenti ben più interessanti di un Bot o di Btp. Ma se il rialzo dei tassi continuerà il vantaggio potrebbe ridursi ancora. Solo qualche giorno fa, il presidente dell’Ania, Fabio Cerchiai, ha fatto sapere che in ogni caso gli assicuratori prevedono di chiudere l’anno con una raccolta in crescita tra il 7 e l’8%. Ma di certo il ramo Vita non è più quello di qualche anno fa. (riproduzione riservata)