di Gianni Gambarotta – 14-05-2011

La Consob ha comunicato nel primo pomeriggio di venerdì 13 le sue decisioni, molto attese dal mercato, sulle operazioni Lactalis-Parlamat e Unicredit-Fonsai. Sulla prima è arrivato il via libera all’Opa dei francesi: una scelta prevista dai più, anche se nel discorso di lunedì 9 di Giuseppe Vegas, il suo primo da presidente della Commissione, era parso di cogliere, assieme all’apertura ai capitali stranieri, anche qualche considerazione di prudenza e di richiesta di reciprocità.
Il sì a Lactalis invece è venuto e rapidamente, quanto basta ai francesi per presentarsi da padroni indisturbati alla prossima assemblea. Un’efficienza che non è tradizione dell’amministrazione italiana e che in questo caso è parsa inopportuna. Lactalis, come è stato scritto da tutti, è una società che non pubblica bilanci (la legge francese glielo consente, in cambio di una sanzione amministrativa). Prima di dare luce verde all’Opa, si poteva chiedere qualche informazione in più su un gruppo così riservato visto che noi italiani siamo (giustamente) sensibili a temi come il riciclaggio di denaro. A nessuna impresa italiana sarebbe consentita una scalata in Borsa senza che qualcuno si domandi dove prenda i soldi. Una minor fretta la consigliava anche un’altra considerazione: la vicenda Lactalis-Parmalat si è, per così dire, arricchita di un nuovo capitolo quando, mercoledì scorso, la Procura di Milano ha aperto un’indagine su ipotesi di aggiotaggio e insider trading ordinando alla Guardia di Finanza perquisizioni nelle sedi di quattro banche e di due agenzie di pubbliche relazioni protagoniste dell’affaire. Forse la Commissione poteva dedicare qualche giorno ad approfondire la questione collaborando con la Procura. Così non è stato, e Lactalis ieri pomeriggio ha potuto diramare il suo comunicato-bollettino di vittoria, in calce al quale si legge che chi volesse saperne di più è pregato di rivolgersi ad Image Building, una delle società oggetto delle perquisizioni della Guardia di Finanza di cui si è detto. Straordinario.
La seconda decisione della Consob ha riguardato l’esenzione dall’obbligo di Opa su Fonsai per l’Unicredit. La Banca di Federico Ghizzoni ha messo in piedi quella che è in sostanza un’operazione di salvataggio-commissariamento del gruppo di Salvatore Ligresti, del quale è il principale creditore. Il piano prevede che l’istituto milanese sottoscriva l’aumento di capitale indispensabile a Fonsai diventandone azionista con il 7 per cento circa. Sarà il secondo socio della compagnia, dopo la Premafin dello stesso Ligresti. E sarà un partner importante, in qualche modo condizionante perché assommerà al ruolo di azionista anche quello di grande creditore. Questa situazione aveva fatto scattare l’ipotesi di un cambiamento del controllo di fatto della compagnia con conseguente obbligo di Opa sull’intero capitale della stessa. Ieri la Consob ha detto di no, niente obbligo di offerta. L’Unicredit ha tirato un sospiro di sollievo perché l’Opa sarebbe stata molto costosa, probabilmente tanto da indurre la banca a rinunciarvi. Sollevato da un incubo è anche il costruttore siciliano: senza il salvagente di Unicredit sarebbe stato costretto a mettere sul mercato la sua Fonsai. E in questi casi, è noto, si spuntato prezzi da realizzo. Tutto bene allora? Non proprio. Non si capisce perché, pochi mesi fa, la Consob avesse invece imposto l’Opa su Fonsai ai francesi di Groupama, poi ritiratisi proprio a causa dell’onerosità dell’operazione. E non si capisce che cosa intendesse Vegas lunedì scorso quando ha parlato di sé come di difensore delle minorities.