Frena il boom demografico. E metà dei cinesi ora vive in città
 di Andrea Brenta  

Sempre più vecchi. E sempre più inurbati.

Sono finalmente arrivati i risultati del censimento più atteso, quello cinese.

Il paese più popolato del mondo conta ormai ufficialmente quasi 1,34 miliardi di abitanti. Ma la sua crescita demografica rallenta.

Tra il 2000 e il 2010 il tasso è stato pari allo 0,57% all’anno, la metà rispetto a quello registrato nel decennio precedente (1,07%) e tre volte meno rispetto a quello attuale dell’India.

Ma il fatto più inquietante è che ormai i sessantenni e oltre rappresentano il 16,6% della popolazione, quasi il 3% in più di dieci anni prima. E questo pone non soltanto dei problemi di finanziamento delle prestazioni sociali, ma rappresenta anche un costo per il sistema sanitario. Il governo di Pechino prevede di raddoppiare il numero degli infermieri, con l’obiettivo di portarlo a 4,5 milioni nel 2020. Ma occorrerà di sicuro fare di più. Secondo l’economista Christian Saint-Etienne, il numero dei cinesi ultrasessantacinquenni passerà infatti «da 88 milioni nel 2000 a 199 milioni nel 2025 e 349 milioni nel 2050, pari al 24,3% della popolazione».

E se il presidente Hu Jintao promette di «raddoppiare gli sforzi per migliorare il sistema di sicurezza sociale e i servizi destinati agli anziani», la Cina non ha ancora adottato una vera strategia per far fronte all’invecchiamento della sua popolazione. Al contrario. Finora infatti la seconda economia del mondo ha focalizzato i suoi sforzi sull’educazione dei giovani under 14, che rappresentano il 16,6% della popolazione, ossia il 6,3% in meno rispetto al 2000. C’è da dire che questa scelta ha avuto successo, se è vero che il numero degli studenti delle superiori è raddoppiato in dieci anni, passando dal 3,6 all’8,9%, e che ormai la Cina conta «solo» 54 milioni di analfabeti, ovvero il 4% della sua popolazione.

Un altro dato importante emerso dal censimento è il fatto che, come conseguenza dell’industrializzazione a tappe forzate, i cinesi continuano in numero sempre maggiore a lasciare le campagne per le città. Nel 2000 la popolazione urbana rappresentava il 36,1% della popolazione totale. Nel 2010 la percentuale è passata al 49,7%. Per la prima volta nella sua storia la Cina può dunque definirsi a pieno titolo una società urbana. Quella di Guandong è la provincia più popolata del paese, con 104,3 milioni di abitanti, pari al 7,78% della popolazione totale.

Il progressivo invecchiamento della popolazione potrebbe spingere Pechino a rinunciare del tutto alla politica del figlio unico, che, rigorosamente applicata nelle città, non lo è più ormai da tempo nelle campagne, dove le coppie hanno quasi tutte due figli. Per il momento Hu Jintao preferisce mantenere un tasso di natalità basso. Ma le conseguenze di questa politica rischiano di diventare sempre più pesanti da gestire. In Cina attualmente nascono 124 maschi ogni 100 femmine: questo significa che nel 2020 ben 24 milioni di cinesi adulti non avranno alcuna speranza di sposarsi o di avere dei figli.

Ma soprattutto l’ex Celeste impero perde terreno nei confronti dei suoi vicini. Se il ritmo attuale si confermerà, la popolazione indiana passerà da 1,17 a 1,75 miliardi, mentre i cinesi si fermeranno a 1,44 miliardi. Ed entro i prossimi 40 anni l’Africa, da sola, conterà 2 miliardi di abitanti.