S. ALIVERNINI e F. VITALE Il 20 aprile 2011 con la sentenza n. 15657, la Corte di Cassazione ha ampliato il campo di applicazione soggettiva della responsabilità amministrativa degli enti dipendenti da reato, estendendolo anche alle imprese individuali. All’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 231/01, è stabilito che la disciplina in esso contenuta si applica «agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica».
La scelta del Legislatore di utilizzare il termine «enti» è motivata dalla circostanza che non si intendeva limitare tale responsabilità alle sole persone giuridiche. Difatti per «enti» si intendono sia le «persone giuridiche» in senso tecnico, sia qualunque altra «società e associazione» anche priva di personalità giuridica. Le ragioni sottese all’introduzione dei soggetti privi di personalità giuridica, così come si evince nella Relazione al «Progetto preliminare di riforma del Codice Penale» – che ha largamente influenzato la previsione della responsabilità amministrativa da reato degli enti – stanno nella considerazione di politica legislativa che proprio tali enti possono sottrarsi ai controlli statali con più facilità, e dunque sono a maggior rischio di attività illecite.
Il comma 3 dell’articolo in questione, stabilisce esplicitamente che le disposizioni del Decreto «non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici, nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale». In buona sostanza, rimangono dunque esclusi da tale regime di responsabilità lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, tutti gli enti pubblici non economici e gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale, quali la Camera dei Deputati, il Senato della Repubblica, la Corte Costituzionale, il Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica, il Csm, il Cnel.
Nulla dice la legge in merito all’applicazione del Decreto alle imprese individuali da qui i dubbi interpretativi al riguardo.
Il primo indirizzo giurisprudenziale, abbracciato dalla sentenza n. 18941 del 2004 della Suprema Corte, escludeva dal novero dei destinatari del Decreto le imprese individuali. E ciò per due ordini di ragioni. In primo luogo, perché il divieto di analogia in malam partem impedirebbe una lettura della normativa in esame che ne estenda le previsioni anche alle imprese individuali: si tratterebbe, infatti, di una interpretazione evidentemente contraria all’art. 25, comma 2, della Costituzione. In secondo luogo, perché la responsabilità dell’ente è chiaramente aggiuntiva, e non sostitutiva, di quella delle persone fisiche, che soggiace alle regole dettate dal diritto penale comune.
Con la presente pronuncia gli ermellini ribaltano il precedente orientamento, ampliando l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche fino a ricomprendere le imprese individuali.
Tale inversione di rotta è dovuta fondamentalmente alla circostanza che un’eventuale esclusione di siffatti soggetti avrebbe in seno il rischio di una vera e propria lacuna normativa, con inevitabili ricadute sul piano costituzionale connesse a una disparità di trattamento tra coloro che ricorrono a strutture più agili e coloro che, al contrario, si servono di strutture ben più complesse e articolate. Anche una lettura costituzionalmente orientata della norma conduce alle medesime conclusioni. Tanto più che, non cogliendosi nel testo dell’art. 1, comma 2, del Decreto alcun cenno riguardante le imprese individuali, la loro mancata indicazione non equivale ad esclusione ma, semmai ad una implicita inclusione nell’area dei destinatari della norma.
Una loro esclusione, infatti, si porrebbe in aperto conflitto con le norme costituzionali – oltre che sotto il citato aspetto della disparità di trattamento – anche in termini di irragionevolezza del sistema.
*Studio Legale Carnelutti
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