di Roberto Sommella

Ieri a Palazzo Mezzanotte due poltrone sono rimaste vuote: quelle del sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Gianni Letta, e quella dell’ex presidente delle Generali, Cesare Geronzi.

Ma se la notizia non è certamente nell’assenza del secondo, ancora troppa aperta la ferita della sua clamorosa uscita dal Leone per affrontare a viso aperto molti dei congiurati del 6 aprile, ha destato un certo stupore trovare in prima fila ieri a Roma, invece che a Milano, nella splendida Sala della Lupa a Montecitorio, proprio il braccio destro di Silvio Berlusconi, che aveva comunicato all’ultimo momento al presidente della Consob, Giuseppe Vegas, il suo forfait alla relazione annuale della Consob. Perché Letta era alla Camera dei deputati nella location dove di consueto si svolgono gli eventi più importanti? Per la consegna del premio Guido Carli a Cesare Geronzi. E se si aggiunge che a Milano, nel cuore della Borsa, ad ascoltare l’innovativo discorso di Vegas c’era il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, la fotografia che ne viene fuori è quella di una plastica messa in scena degli ultimi grandi rivolgimenti della finanza e dell’economia italiana.

A Milano il nuovo che avanza sempre più, in barba alla politica delle relazioni, a Roma chi delle relazioni ha fatto la forza (e a volte la debolezza) del suo modo di agire. Ma, messa da parte la dietrologia, quello di Geronzi ieri è stato un discorso che è suonato forte e chiaro anche a chi non era in Parlamento ad ascoltarlo. O forse soprattutto a chi ha preferito girare alla larga da Montecitorio. In cinque cartelle fitte di citazioni, da Vargas Llosa all’ormai mitica parresia euripidiana tanto cara ad Antonio Fazio, Geronzi si è tolto più di un sassolino dalle scarpe, mandando messaggi a un mondo che lo vuole in panchina per sempre. Così, è difficile non pensare almeno a un rimando alle recenti questioni in seno al consiglio d’amministrazione delle Generali e agli scontri con Diego Della Valle o alle forti contrapposizioni con chi, nell’ottica geronziana, prima era venuto in pace e poi è finito, complice Mediobanca, a decretare la sua uscita di scena dalla tolda di comando della compagnia triestina. Basta scorrere le cinque cartelline del discorso. «Guido Carli era un maestro di etica della responsabilità. Dalla sua cultura liberale traeva una massima apertura al confronto dialettico anche con le posizioni più distanti. A Via Nazionale», ricorda Geronzi, «non emarginò mai nessuno per le sue idee. Tutt’altro. Ricordo che quando venivano promosse sottoscrizioni straordinarie per la stampa di sinistra (per esempio, per il Manifesto) egli, che da quella cultura era assai distante, tuttavia era il primo ad aderire al sostegno, come esemplare applicazione del principio di Voltaire sulla fecondità della libertà di espressione del pensiero». E se nel suddetto passaggio non è difficile cogliere l’autoevocazione alle tante operazioni di sistema di Geronzi, dalla ristrutturazione dei debiti proprio del quotidiano del Pci a quelli della Quercia, fino alla quotazione di Mediaset, l’ex presidente del Leone, affonda il colpo più avanti. «Carli era, altrettanto, rigoroso sul piano della trasparenza. Erano costituzionalmente antitetici al suo carattere l’approccio ipocrita, la condivisione formale, seguita dal comportamento contrario, la mancanza di lealtà», ricorda, «Sono mali, tuttavia, difficilmente estirpabili. Lo vediamo, purtroppo, anche oggi. Basti ricordare, in alto, le recenti giuste considerazioni rivolte indistintamente a tutti, a tutti i soggetti politici e sociali, da parte del Capo dello Stato sull’ossequio ai suoi indirizzi non seguito, poi, da coerenti atteggiamenti concreti, e, in basso, quanto spesso avviene nel mondo della finanza». Insomma, un elogio della coerenza e una condanna dei comportamenti oscuri, tanto per non mandarla dire a chi, come il Corriere della Sera di lunedì, ha voluto rimarcare la sua voglia di rientrare in campo (peraltro subito smentita da Palazzo Chigi), niente meno che per rivestire il ruolo di ministro dell’Economia su precisa richiesta del Cavaliere. Non che a Geronzi, almeno a suo dire, manchi il senso dell’interesse generale, imparato in vent’anni di militanza nella Banca d’Italia prima di Carli e poi di Baffi e Ciampi, ma la voglia di ribattere colpo su colpo, pur facendo parlare la storia pluricentenaria di Via Nazionale, è sembrata più forte di ogni precauzione.

E così, nel ricordare l’opera rigorosa del governatore reso famoso per l’Oscar della lira, il suo credo di politica economica, i suoi attacchi alle lobby di ogni tipo che avviluppano di «lacci e lacciuoli» l’economia di ieri e, purtroppo, anche di oggi, il banchiere di Marino ha trovato il modo di tornare anche sulla sua criticatissima intervista al Financial Times in cui si propose come operatore di sistema. «Era la sua (di Carli, ndr) visione degli interessi generali che ha informato l’agire di tutti quanti sono stati alla sua scuola e di quell’insegnamento sono riconoscenti. Quegli interessi che oggi, a volte», per Geronzi, «sembrano diventare quasi turpiloquio, secondo qualche benpensante, così come, di tanto in tanto, viene bandito il riferimento al sistema. Poi improvvisamente ne viene fuori una smodata esaltazione. Altri tempi, ben diverse stature intellettuali». Come lontani sembrano ormai gli anni in cui lo storico presidente di Capitalia si trincerava dietro i più ferrei silenzi di cucciana memoria. (riproduzione riservata)