di Edoardo Narduzzi  

«Si imporranno ripensamenti sulla spesa pubblica». Stavolta l’allarme sullo stato della finanza pubblica italiana non è stato lanciato dal solito Fondo monetario internazionale o dalla ricorrente Banca centrale europea, ma dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano. È l’inizio del percorso di conversione verso i nuovi parametri imposti dalla partecipazione all’euro: un passo che, dopo le varie crisi greche e portoghesi, non è più rinviabile da parte dell’Italia. Ma tagliare la spesa pubblica nel prossimo futuro sarà tutt’altro che facile. Uno sguardo ai dati spiega quasi tutto. Nel 2009 la spesa pubblica da finanziare al netto degli interessi sul debito e degli ammortamenti è stata pari a circa 230 miliardi di euro (esclusi gli enti locali). I contributi alla produzione hanno contribuito per il 2,4% mentre pensioni e rendite incidevano per il 37,3%, valore al quale peraltro va aggiunto un ulteriore 8,9% speso per previdenza e assistenza. La spesa pubblica oggi è quasi completamente assorbita dal costo delle pensioni e dalla spesa corrente per stipendi. Sono i numeri che si sono formati a partire dai primi anni settanta e che oggi offrono la fotografia di un paese schiacciato dal peso della sua demografia asimmetrica: un esercito di lavoratori precari e flessibili deve continuare a mantenere costi pensionistici che assorbono più del 40% della spesa pubblica annuale. Sostenibile? Poiché il capitale umano più preparato e competitivo è da tempo in fuga dall’Italia sarebbe ora che le massime cariche dello Stato accompagnino i sacrosanti richiami alla riduzione della spesa con la necessità di voltare pagina con un welfare state e una pubblica amministrazione novecenteschi, con delle proposte concrete. Napolitano deve iniziare a dire che nel prossimo futuro gli italiani possono anche andare incontro ad una stagione di tagli o limature alle pensioni erogate o erogande per poter restare nel circondario dei paesi avanzati e nel club dell’euro. Abbiamo fissato dei diritti pensionistici pensando a un ciclo economico che ora non esiste più e non sembra che tornerà di attualità a breve. La spesa pubblica italiana va nuovamente correlata con le potenzialità di sviluppo della sua economia, altrimenti si farà insostenibile nel prossimo futuro. La parte di economia intermediata dallo Stato, ora superiore al 50% nel caso italiano, deve diminuire e di molto. Idee e cantieri in materia sono stati aperti in Svezia, Regno Unito e in alcuni Stati americani. È tempo che anche in Italia si passi dai moniti ai fatti; non c’è nessun dramma da fronteggiare si tratta di prendere atto della nuova realtà e adattarsi.