Intanto rischiano di spaccarsi le associazioni di settore. Assogestioni plaude alla stretta fiscale sui fondi familiari e i club deal, mentre tra gli aderenti ad Assoimmobiliare, quindi a Confindustria, c’è grande scontento 

di Andrea Bassi e Teresa Campo

Alle maggiori società di gestione del risparmio costerà caro. Le altre saranno costrette a chiudere. E tra gli addetti ai lavori, a bassa voce, comincia già la conta per vedere a chi toccherà. Circolano anche nomi illustri, da Numeria a Castello sgr, da Vegagest a Polis fondi, più molte altre sigle meno note, che non riusciranno a far fronte all’aggravio fiscale o, più semplicemente, che non trovano appetibile l’idea di continuare a pagare tasse su tasse nei prossimi anni.

Per esempio Polis, la sgr delle banche popolari, oggi conta sei fondi, di cui uno solo quotato, cioè destinato ai risparmiatori, e prossimo alla scadenza. Una volta chiuso quest’ultimo, Polis potrebbe lasciar perdere perché il gioco non vale la candela. Vegagest invece di fondi immobiliari ne ha almeno una decina, ma in difficoltà. Da quasi un anno ha un nuovo amministratore delegato e un piano di ristrutturazione, e i fondi hanno cominciato a dare i primi frutti, ma la nuova normativa potrebbe metterli a repentaglio. Senza contare le proteste di chi è già venuto ufficialmente allo scoperto, come Est Capital (si veda MF-Milano Finanza di ieri). Il presidente della sgr, Gianfranco Mossetto, ha addirittura inviato una dura lettera al direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli, chiedendo di fare pressioni sul governo. Nel testo attuale, del resto, il decreto metterebbe a rischio una serie di investimenti della società. A partire dalla riqualificazione del lido di Venezia. Un progetto da diverse centinaia di milioni di euro, che coinvolge anche gli storici alberghi Excelsior e Des Bains e l’Ospedale del Mare. Ma anche la nuova darsena da diporto della città, un progetto quest’ultimo che dovrebbe creare mille nuovi posti barca. Una débacle, insomma, che secondo Mossetto rischierebbe di coinvolgere anche molti programmi dello stesso governo, come il social housing per gli studenti universitari, il federalismo demaniale e, più in generale, tutti i progetti in cui gli apporti dei privati sono necessari ad avviare i fondi.

Il bilancio rischia di diventare pesante per colpa della nuova normativa sui fondi immobiliari contenuta nel Decreto sviluppo, che nella sostanza salva i fondi partecipati da investitori istituzionali, anche esteri, accogliendo quindi in parte le richieste del settore, ma affossa invece quelli familiari, i club deal e in generale tutti i prodotti di cui società e persone fisiche detengono una quota superiore al 5%. Su di loro si abbatterà infatti la scure del fisco: invece del 20% a titolo di acconto sui proventi distribuiti saranno tenuti a pagare un’imposta transitoria, una sorta di una tantum, più a regime la tassazione ordinaria. Ma il vero problema non è nemmeno questo: l’imposizione non sarà calcolata sui proventi distribuiti ma sugli utili del fondo tout court. «In sostanza, se un fondo ha un utile di 100, d’ora in avanti i soci con più del 5% dovranno pagare comunque le imposte sulla quota di loro competenza anche se, come accade di solito, il fondo ne distribuisce solo una parte, o addirittura nulla perché magari preferisce reinvestirli», spiega Roberto Brustia e di Cba Studio Legale e Tributario, consulente anche di Assoimmobiliare. «Domani comunque il decreto verrà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e a breve i vari concetti verranno puntualizzati. Aspettiamo quindi a fasciarci la testa. Peraltro i problemi citati potrebbero essere facilmente superati elevando per esempio al 15-20% la quota oltre la quale scatta l’aumento della tassazione, che peraltro andrebbe di nuovo limitata solo ai proventi effettivamente distribuiti».

Concetti semplici che le associazioni di categoria si stanno sforzando di comunicare al governo. Tuttavia il fronte non appare molto compatto. Assogestioni sottolinea infatti che un passo in avanti rispetto alla bozza precedente è stato fatto, e dunque «esprime un iniziale apprezzamento per la nuova norma e l’auspicio della sua conversione in legge», come si legge nella dichiarazione ufficiale. Assoimmobiliare, che invece rappresenta tutto il mondo del mattone, continua a battersi per limitare i danni in termini di aumento della pressione fiscale e per salvare anche i piccoli, quelli appunto più sacrificati dalla nuova normativa se non addirittura a rischio di non sopravvivere. A fine 2010 il settore contava circa 60 sgr, per un totale di 290 fondi operativi autorizzati da Banca d’Italia, di cui 265 riservati, e un patrimonio di 36,4 miliardi di euro in termini di Net asset value.

Per fronteggiare meglio le sfide del mercato, il settore dovrà andare incontro a un radicale cambiamento, che porterà anche a un drastico consolidamento, con una lunga stagione di fusioni e acquisizioni. (riproduzione riservata)