Crescita lenta e oltre un milione di contributi sospesi. Antonio Finocchiaro (Covip) chiede incentivi fiscali. E il ministro del lavoro Maurizio Sacconi replica: «Solo se a costo zero»

di Sibilla Di Renzo 

Botta e risposta tra il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, e il presidente della Covip, Antonio Finocchiaro. In occasione della presentazione della relazione annuale della Commissione di vigilanza dei fondi pensione, Finocchiaro ha chiesto alle istituzioni e parti sociali un maggiore impegno nel promuovere e agevolare la previdenza complementare. Un obiettivo su cui si deve operare «senza indugio e con fervore». Allo stesso tempo, il presidente di Covip ha chiesto una modifica della tassazione per i fondi pensione, con il passaggio dal maturato al realizzato. La previdenza complementare, infatti, è stata esclusa dalla riforma che nei mesi scorsi ha interessato i fondi comuni di investimento e quindi non ha potuto usufruire dei maggiori vantaggi fiscali previsti dalla nuova legge. Immediata la replica del ministro Sacconi, secondo cui c’è uno spazio per razionalizzare le agevolazioni fiscali esistenti sui fondi pensione, ma «senza ulteriori oneri per lo Stato». Inoltre, Sacconi ha rimarcato con forza la necessità di compattare un sistema che si configura come automatizzato: «I fondi pensione sono troppi, più di 500. E ciò non permette di pervenire a quella massa critica che consenta di conseguire economie di scala nella gestione e di ampliare il novero di attività possibili per ciascun fondo».
Andando oltre le polemiche, sono i dati snocciolati in occasione della relazione annuale che portano a galla una realtà fatta ancora di luci e ombre per la previdenza complementare, che è arrivata a gestire risorse per 83 miliardi (+13% in un anno). Infatti, se a fine 2010 i rendimenti delle forme pensionistiche complementari sono risultati positivi e addirittura superiori alla rivalutazione del Tfr, che si è attestata al 2,6% (vedere tabella pag. 27), dall’altro l’intero settore continua a essere in sofferenza. Alla fine dello scorso anno, infatti, le adesioni ammontavano a 5,3 milioni di unità, pari solo al 23% della platea di riferimento. Complice la crisi economica, l’incremento è stato assai contenuto: al netto dei riscatti, le nuove sottoscrizioni sono salite appena del 4,3%, grazie quasi esclusivamente alle adesioni ai Pip (Piani pensionistici individuali, cresciute del 29,8% contro il calo dell’1,4% dei fondi negoziali. E il primo trimestre del 2011 si conferma il linea con il trend dello scorso anno, con i nuovi iscritti cresciuti appena dell’1,3 per cento. Da segnalare, inoltre, come la crisi abbia determinato un aumento delle sospensioni dei versamenti contributivi: da 840mila di fine 2009 a circa un milione di casi al termine dell’anno successivo. Nel quadriennio 2007-2010, invece, gli iscritti che hanno smesso di versare le quote ai fondi sono raddoppiati a causa soprattutto del calo del reddito dei lavoratori autonomi.
«Nell’attesa che si creino iniziative dirette a incrementare le adesioni, la Commissione ha rafforzato l’attività di vigilanza orientandola alla prevenzione dei potenziali rischi», ha dichiarato Finocchiaro, che ha anche puntato l’indice contro alcune aree di inefficienza della gestione finanziaria dei fondi. Tra queste, la più eclatante, una duration media dei titoli di debito di 3,5 anni, troppo ristretta se confrontata con gli obiettivi di lungo termine che caratterizzano la previdenza complementare. Il problema è che una duration troppo breve aumenta il numero dei titoli in scadenza ogni anno, e quindi quello degli acquisti, in pratica la cosiddetta velocità di rotazione del portafoglio, che fa lievitare inutilmente i costi di negoziazione a discapito dei rendimenti per gli iscritti. Inoltre, durante le ispezioni, che si sono intensificate negli ultimi anni, sono emerse carenze di tipo organizzativo, legate in particolare alla funzione del responsabile della forma pensionistica.