Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali

 

logo_mf

L’intelligenza artificiale sta prendendo piede in tutti i settori, ma in quello finanziario l’adozione delle tecnologie di AI pone diversi interrogativi. Serve, innanzitutto, evitare che l’intelligenza artificiale possa manipolare i mercati e capire come invece può essere d’aiuto per affinare le previsioni. «Il punto è istruire degli algoritmi che abbiano al loro interno le legislazioni esistenti, determinandone il blocco se incappano in divieti di legge», ha osservato Paolo Savona, presidente di Consob (commento a sua firma a pagina 18). «L’algoritmo può essere un supporto, ma senza mandare in soffitta gli attuali modelli econometrici».
Assicurazioni, consulenza, ricerca: l’intelligenza artificiale arriva in tutti i settori. Ma le pmi restano indietro. Finora la classica retorica dell’Italia rimasta indietro nell’adozione delle nuove tecnologie è stata valida anche per parlare di intelligenza artificiale. «Il 50% delle imprese dichiara di non aver mai usato l’AI per automatizzare i processi», ha spiegato Andrea D’Onofrio, marketing lead for data & analytics di Microsoft Western Europe, nella prima delle due giornate degli Stati generali dell’intelligenza artificiale del gruppo Class Editori. «Questo è accaduto perché l’AI ha bisogno di investimenti importanti che solo le grandi aziende hanno potuto fare, ma l’Italia è un mercato di pmi. L’AI generativa può ribaltare il paradigma».
Il private banking si prepara alla rivoluzione open finance, ossia l’accesso regolamentato ai dati dei clienti per tutti i servizi finanziari. L’argomento è stato tema di un convegno organizzato ieri da Aipb, l’Associazione Italiana del Private Banking, con la società di consulenza Pwc, che sono partite da una premessa: dal 2025 è prevista la versione finale del regolamento europeo Fida (Financial Data Access) che inaugurerà la stagione dell’open finance.

Con 529.761 nuovi over 65 assistiti a domicilio, le regioni hanno raggiunto l’obiettivo fissato per legge che prevedeva il superamento di 526.000 pazienti da prendere in carico riferiti all’anno 2023. Pertanto, il target nazionale risulta pienamente raggiunto. A certificarlo è l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) nella relazione di sintesi sul monitoraggio degli obiettivi attesi dal Decreto Interministeriale 24 novembre 2023 “Modifiche al decreto 23 gennaio 2023, recante ripartizione delle risorse relative all’investimento M6C1 – 1.2.1 «Casa come primo luogo di cura (Adi)» del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)”.
Gli eventi franosi, alluvionali e di erosione costiera segnano pesantemente ogni anno il nostro Paese. In media si registrano più di 100 eventi franosi con danni a persone e cose ogni anno, con punte di oltre 300 eventi distruttivi nel 2016. Nel 2020, l’Ispra, ha rilevato che gli eventi franosi significativi sono stati 122, nel 2021 158 e nel 2022 si sono attestati a 97. Alluvioni e inondazioni si presentano con una media di due eventi distruttivi l’anno. Nel 2023 si sono registrati 5 eventi alluvionali significativi tra cui due episodi gravi a distanza di pochi giorni in vaste aree dell’Emilia Romagna, nel mese di maggio, con un bilancio di 17 morti. Nel 2022 gli episodi sono stati due tra cui quello particolarmente grave di novembre, verificatosi a seguito di smottamento, dilavamento e allagamento, nell’isola di Ischia con 12 morti. Altri due episodi significativi si sono registrati nel 2021, 4 nel 2020, 4 nel 2019, 2 nel 2028 di cui uno particolarmente distruttivo nel mese di ottobre a causa della Tempesta Vaia, con inondazioni e smottamenti in provincia di Trento, di Belluno e di Udine. D’altra parte questo è il portato di un livello di rischio che coinvolge, secondo l’Ispra, ampie parti del territorio e della popolazione. Secondo gli ultimi dati disponibili, il 13,5% del territorio nazionale è esposto ad un rischio frana elevato o medio, il 15% del territorio è esposto a rischio alluvionale elevato o medio, il 4,1% della popolazione risiede in aree ad elevata pericolosità alluvionale, cui si aggiunge l’11% residente in aree a pericolosità media.

Repubblica_logo

El Niño sta finendo. Nell’ultimo anno il fenomeno naturale legato alla circolazione dell’aria, alisei e temperature dell’acqua, iniziato lo scorso giugno, ha portato a un generale aumento delle temperature globali, così come a seconda delle zone a pesanti inondazioni nell’America meridionale, alla siccità che ha messo in ginocchio l’Africa o alle ondate di calore affrontate dagli Usa sino all’Australia. Sebbene entrambi i fenomeni siano periodici, con El Niño destinato a durare un anno e La Niña anche due o tre, nel 2024 il passaggio tra le due condizioni sembra dividere la scienza su più fronti. Da una parte, a seconda dei modelli, ci sono le previsioni. L’Ufficio meteorologico australiano, che nelle scorse ore si è sbilanciato nel dire che El Niño “è finito”, parla di un possibile prolungamento di una fase neutrale e ha dubbi su quando realmente subentrerà La Niña, mentre al contrario il Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) degli Stati Uniti dichiara un “indebolimento” di El Niño e una probabilità del 60% che La Niña si sviluppi entro agosto per poi farsi sentire questo inverno.

Con un tasso di partecipazione pari al 36,2% dei lavoratori, contro l’ 84% della Germania e il 93% nei Paesi Bassi, un tasso di adesione ai fondi pensione negoziali che non supera il 29,3%. A tratteggiare i contorni e l’attuale fisionomia del pianeta delle pensioni integrative è un “position paper” realizzato da “The European House – Ambrosetti” in collaborazione con Fondo Perseo Sirio. Un rapporto in cui si sottolinea che ipotizzando una quota pari all’86% di adesioni alle forme complementari, nel 2050 il “tasso di sostituzione” previdenziale anziché scendere al 67,6% si manterrebbe quasi all’80% (79,7%). Nel paper si sottolinea che, soprattutto per quel che riguarda i fondi negoziali, il mancato vero decollo delle forme integrative in Italia è da ricercare in alcuni «punti aperti strutturali e trasversali ai settori pubblico e privato» che permangono a livello di sistema-Paese. A cominciare dalla prevalenza del Tfr rispetto ai contributi versati da datore di lavoro e lavoratori, dai limitati investimenti in economia reale, che si fermano al 2,8% del patrimonio nel caso dei fondi negoziali, dall’elevato cuneo fiscale e dalle risorse «limitate» che le famiglie sono in grado di versare nella previdenza complementare.
Lo sviluppo della previdenza complementare resta, anche nel breve periodo, tra le priorità del governo. Che però deve fare i conti con le poche risorse al momento disponibili. La coperta resta corta, come ha certificato il Def presentato la scorsa settimana, per alleggerire subito in maniera significativa il peso fiscale sulle forme integrative, anche se resta aperta la strada tracciata con la legge delega sulla riforma fiscale. Ma questo non è l’unico versante sul quale è caduta l’attenzione dell’esecutivo. Che è indirizzata anche su un altro tema cruciale: quello degli investimenti in economia reale. «Il nostro obiettivo non è obbligare gli investitori a indirizzare il loro denaro nell’economia reale, ma rendere attrattivo il sistema creando le condizioni affinché investire diventi talmente conveniente che ci sia la fila per farlo», afferma il sottosegretario all’Economia, Federico Freni, che per il Mef ha delega in materia previdenziale.