di Carlo Giuro
Nella premessa del Documento di Economia e Finanza (Def) a firma del ministro dell’Economia Daniele Franco è stata introdotta una dichiarazione di intenti sulla prossima riforma delle pensioni. Si afferma infatti come l’attuale contingenza non deve fare distogliere l’attenzione dalle politiche strutturali già avviate nei settori strategici della transizione ecologica e digitale, della competitività del sistema economico, della sanità e del welfare, con particolare riguardo all’assetto del sistema pensionistico per il quale, nel pieno rispetto dell’equilibrio dei conti pubblici, della sostenibilità del debito e dell’impianto contributivo del sistema, occorrerà trovare soluzioni che consentano forme di flessibilità in uscita e un rafforzamento della previdenza complementare. Occorrerà, altresì, approfondire le prospettive pensionistiche delle giovani generazioni. Si riaffermano allora i tre driver (pensione contributiva di garanzia per i giovani, flessibilità in uscita, rilancio della previdenza complementare) del confronto in corso tra governo e sindacati che dopo un momentaneo stop dovuto alla guerra, sembra ripartire nell’ambito di un tavolo più ampio sugli effetti economici della guerra con i necessari provvedimenti da adottare, con un incontro di kick off con il presidente del consiglio avvenuto lo scorso 7 aprile con l’obiettivo di tendere ad un nuovo patto sociale per il Paese.

Da sottolineare, nella prospettiva di riordino, la considerazione espressa dal presidente del Cnel Tiziano Treu, in un recente convegno, che sottolinea come parlare di pensioni richiede parlare anche di lavoro, vale a dire delle criticità del mercato prevedendo un sostegno ai giovani, alle donne e ai soggetti deboli. Sono fondamentali l’orientamento durante il percorso scolastico e la formazione, che deve essere sempre più attenta alle competenze digitali, su cui l’Italia è fortemente in ritardo. Proseguendo nella disamina del Def va rimarcato come non vi siano però indicazioni specifiche sugli interventi che verranno posti in essere se non tra i collegati della manovra di bilancio 2023- 2025. Il Documento riporta però, cornice indispensabile da conoscere per calibrare le future misure previdenziali, le proiezioni aggiornate sulla spesa previdenziale considerando che la tendenza europea comune, anche se con intensità diverse nei Paesi dell’Unione Europea, è verso un rapido invecchiamento della popolazione. Ciò comporta, in primo luogo, una riduzione significativa della popolazione attiva e un maggiore carico su di essa delle spese di natura sociale. In generale le proiezioni colgono i maggiori costi per la finanza pubblica legati ai sistemi pensionistici e alle tendenze relative alle spese per l’assistenza sanitaria e l’assistenza a lungo termine, che sono solo in parte compensate dai minori esborsi per l’istruzione legati al calo delle nascite.

Andando alle dinamiche evolutive, dopo la crescita del triennio 2008-2010, imputabile esclusivamente alla fase acuta della recessione, il rapporto fra spesa pensionistica e pil continua a salire a causa dell’ulteriore fase di contrazione economica degli anni successivi. A iniziare dal 2015, in presenza di un andamento del ciclo economico più favorevole e della graduale prosecuzione del processo di innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento, il rapporto fra spesa pensionistica e pil si riduce attestandosi al 15,2% nel 2018.

Poi dal 2018, l’indicatore si muove lungo un trend di crescita, che si protrae per circa un ventennio. Negli anni dal 2019 al 2022, questo valore registra un significativo aumento, fino a raggiungere il 17% nel 2020, cui segue un rimbalzo nei due anni seguenti, alla fine dei quali tale rapporto è previsto tornare ad attestarsi su un livello pari al 15,7%. Il dato risulta comunque superiore di oltre mezzo punto percentuale rispetto al 2018. L’aumento dell’incidenza della spesa in rapporto al prodotto rispetto al 2018 è spiegato sia dalla contrazione del pil conseguente all’emergenza sanitaria sia dal maggior ricorso al pensionamento anticipato.

Le misure su Quota 100, favorendo una più rapida uscita dal mercato del lavoro, hanno infatti comportato un aumento del numero di pensioni in rapporto al numero di occupati. Le previsioni per gli anni 2023-2025 scontano effetti derivanti dall’indicizzazione delle prestazioni significativamente più elevati rispetto a quelli considerati nella Nadef 2021, imputabili al notevole incremento del tasso di inflazione registrato già a partire dalla fine del 2021. Nel 2025, la spesa in rapporto al pil è prevista attestarsi su valori pari a circa il 16,1%, tenuto conto che il profilo del deflatore del pil risulta inferiore a quello del tasso di inflazione. Nel decennio seguente, la crescita del rapporto tra spesa per pensioni e pil accelera fino a raggiungere il picco del 17,4% del 2036. Il rapporto tra spesa pensionistica e pil mostra quindi una sostanziale stabilità nel successivo quinquennio. Dopo il 2040, il rapporto tra spesa pensionistica e pil è previsto decrescere progressivamente, portandosi dapprima al 13,7% nel 2060 e fino a convergere al 13,3% nel 2070.

La rapida riduzione del rapporto fra la spesa pensionistica e il pil nella fase conclusiva del periodo considerato è determinata dall’applicazione generalizzata del metodo di calcolo di tipo contributivo che si accompagna alla stabilizzazione, e successiva inversione di tendenza, del rapporto fra il numero di pensioni pubbliche erogate e il numero di occupati. Tale andamento si spiega sia con la progressiva uscita delle generazioni del baby boom sia con l’adeguamento automatico dei requisiti minimi di pensionamento in funzione della speranza di vita. (riproduzione riservata)
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