Carlo Giuro
Il profilo fiscale, pur non rappresentando il motivo principale per cui sottoscrivere una forma pensionistica, costituisce un elemento di interesse notevole. MF-Milano Finanza ne ha parlato con l’avvocato Flavio De Benedictis, legale e consulente del Mefop con competenze di risparmio previdenziale.

Domanda. Cosa prevede la normativa in materia di deducibilità?

Risposta. I contributi versati a una forma pensionistica complementare sono deducibili dal reddito complessivo tassabile ai fini Irpef entro il limite annuale generale di 5.164,57 euro, per poi essere tassati con aliquote molto basse all’atto della percezione di una prestazione. I contributi versati dal datore di lavoro sono direttamente scomputati dalla formazione del reddito di lavoro dipendente e pertanto il beneficio fiscale della deduzione opera già in sede di busta paga. I contributi versati dall’iscritto, invece, saranno riportati nella dichiarazione dei redditi precompilata o in alternativa dovranno essere riportati tra gli oneri deducibili.

D. Qual è il vantaggio quantitativo della deducibilità?

R. Gli oneri deducibili riducono la base imponibile, pertanto più alta è l’aliquota maggiore sarà il risparmio fiscale. Con le nuove aliquote in vigore da quest’anno si è leggermente ridotto il beneficio fiscale per i contribuenti con redditi fino a 50mila euro, ai quali trovano applicazione le aliquote del 25 e 35% -in sostituzione delle precedenti 27% e 38%- mentre è aumentata la convenienza a dedurre contributi di previdenza complementare per i contribuenti con redditi da 50 a 75mila euro, ai quali trova applicazione la nuova aliquota marginale del 43%, in sostituzione delle precedenti 38% e 41%. Nulla cambia per i percettori di redditi superiori a 75mila euro, che continuano a scontare l’aliquota massima del 43%.

D. Cosa si prevede con riferimento ai contributi versati a beneficio dei familiari fiscalmente a carico?

R. È possibile dedurre dal reddito complessivo anche i contributi versati su una posizione individuale di un familiare fiscalmente a carico. La deduzione dei contributi di previdenza complementare spetta prioritariamente al familiare titolare della posizione previdenziale e, solamente se il reddito complessivo del familiare a carico non consente la deducibilità delle somme versate, l’eccedenza può essere portata in deduzione dal familiare cui è fiscalmente a carico. Il decreto Sostegni-ter inoltre ha chiarito che continuano a spettare le deduzioni e le detrazioni anche per gli oneri sostenuti per i figli di età inferiore ai 21 anni per i quali non spetta più la detrazione per carichi familiari, in quanto beneficiari del nuovo assegno unico e universale per i figli.

D. Esistono disposizioni per la tutela previdenziale dei giovani?

R. A oggi l’unica misura specifica è rappresentata dalla possibilità prevista per i lavoratori di prima occupazione successiva al 1° gennaio 2007 di aumentare il limite annuale di deduzione dal sesto al venticinquesimo anno di partecipazione alla forma pensionistica complementare nella misura in cui non hanno utilizzato appieno il plafond di deducibilità di 5.164,57 euro nei primi cinque anni di adesione al fondo pensione. In ogni caso il maggior limite di deducibilità annuale potrà arrivare massimo alla soglia di 7.746,86 euro.

D. Cosa accade nel caso in cui il lavoratore faccia confluire il premio di risultato nel proprio fondo pensione?

R. Il premio di risultato per un importo massimo di 3mila euro annuali che beneficia dell’imposizione sostitutiva con aliquota del 10%, se erogato in busta paga, può essere trasformato in contributo al fondo pensione per scelta del lavoratore, e in tal caso il premio di risultato è esente da qualunque tipo di tassazione anche se si superano gli ordinari limiti di deduzione di 5.164,57 o di 7.746,86 euro. Diversamente dai contributi ordinariamente deducibili, il premio di risultato destinato a previdenza complementare sarà esente anche nella fase di erogazione delle prestazioni di previdenza complementare.

D. E nel caso in cui si versi più del limite annuo di deducibilità?

R. I contributi che non hanno fruito della deduzione devono essere oggetto di comunicazione al fondo pensione da parte dell’aderente entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è stato effettuato il versamento o entro la data antecedente in cui sorge il diritto alla prestazione. Tale comunicazione è necessaria per consentire al fondo di non tassare i contributi non dedotti nella fase di erogazione delle prestazioni. Sui premi di risultato versati al fondo, invece, tale comunicazione è superflua, in quanto il versamento è effettuato direttamente dal datore di lavoro ed è riportato nella certificazione unica. Sulle somme eccedenti il limite di 5.164,57 euro è possibile beneficiare di un credito d’imposta se tali somme sono destinate a reintegrare una anticipazione tassata in via sostitutiva.

D. Come sono tassati i rendimenti?

R. I rendimenti continuano a essere assoggettati a un’imposta sostitutiva con aliquota del 20% applicata con il criterio del maturato in capo alla forma pensionistica e non con il criterio di cassa in capo all’aderente. I redditi derivanti da investimenti in titoli pubblici ed equiparati beneficiano di una tassazione effettiva del 12,5%. La maggior parte degli altri Paesi europei concentrano il momento impositivo solo nella fase della erogazione delle prestazioni, ma la fiscalità italiana si rivela comunque di maggior vantaggio grazie alla tassazione molto bassa delle prestazioni.

D. Qual è invece il regime di tassazione delle prestazioni?

R. Per le somme accumulate dal 2007 in poi la fiscalità delle prestazioni di previdenza complementare è molto conveniente in quanto è prevista l’applicazione di un’imposizione sostitutiva mediante una ritenuta alla fonte a titolo di imposta. In particolare, sulla parte imponibile delle prestazioni pensionistiche in capitale o in rendita, della rendita integrativa temporanea anticipata (Rita), dei riscatti totali o parziali per causali previste dal decreto legislativo 252 del 2005 e delle anticipazioni per spese sanitarie, si applica un’aliquota del 15% riducibili dello 0,3% per ogni anno eccedente il quindicesimo di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con una riduzione massima al 9% con almeno 35 anni di iscrizione al fondo.

D. Come si atteggiano i fondi nei confronti dell’Isee?

R. Ai fini del calcolo di questo indicatore economico si rilevano i redditi al lordo degli oneri deducibili, e quindi i contributi versati al fondo pensione direttamente dall’iscritto non incideranno, mentre quelli trattenuti dal datore di lavoro riducono già alla fonte il reddito di lavoro dipendente indicato nella certificazione unica, e quindi rilevano ai fini della determinazione dell’Isee. Le somme versate a fondi di previdenza complementare non rientrano comunque fra i rapporti finanziari da comunicare, come chiarito di recente dall’Inps. (riproduzione riservata)

L’effetto della guerra sugli assegni pubblici e privati
di Carlo Giuro
Tra i diversi effetti economici determinati dalla guerra in Ucraina non vanno dimenticati anche i riverberi sul sistema previdenziale. Partendo dalla prima conseguenza concreta rappresentata dalla messa in momentaneo stand by del confronto in corso tra governo e sindacati su flessibilità in uscita, pensione di garanzia per i giovani e rilancio della previdenza complementare che si proponeva di delineare un nuovo intervento strutturale di riordino che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto trovare confluenza nell’imminente Documento di Economia e Finanze. Come si legge nella Direttiva 28 del 17 febbraio scorso del Ministero del Lavoro, attraverso il dialogo e il confronto con le parti sociali, si vuole garantire un sistema equo e flessibile nell’uscita dal mercato del lavoro, monitorando gli effetti delle recenti misure introdotte (da quota 100 a quota 102) contemperando le esigenze di adeguatezza e sostenibilità del sistema previdenziale.

Va evidenziato come con Nota congiunta del 29 marzo scorso Cgil Cisl e Uil hanno ricordato di avere chiesto un incontro al Governo per discutere anche dei temi previdenziali, dopo gli utili confronti avvenuti sui tavoli tecnici e hanno sottolineato la necessità che il governo prima della definizione del prossimo Def risponda ai temi oggetto del confronto. A questo punto, in attesa che si possano riannodare quanto prima i fili del dialogo, sembra comunque determinarsi di fatto un verosimile slittamento dei tempi con possibile ridefinizione anche degli obiettivi da raggiungere (possibili le proroghe per esempio nella prossima Legge di Bilancio di opzione donna e della stessa quota 102 che sulla carta dovrebbe valere per il solo 2022).Vanno poi valutati gli effetti che il conflitto in corso produrrà in termini di prodotto interno lordo (l’Istat evidenzia un effetto al ribasso sul livello del pil nel 2022 di 0,7 punti percentuali) ricordando in primo luogo come il pil rappresenta il denominatore del rapporto spesa pensioni/pil che costituisce uno dei principali indicatori dello stato di salute dell’equilibrio finanziario dell’ordinamento pensionistico. Secondo le stime di aggiornamento della Ragioneria generale dello Stato dello scorso dicembre la spesa in rapporto al pil raggiunge un’incidenza del 17,0% nel 2020 per ripiegare su un livello pari al 16,2% nel 2021 e al 15,7% nel 2022, rimanendo tuttavia circa mezzo punto di pil al di sopra del livello di spesa del 2018, anno precedente all’introduzione di quota 100.

Negli anni seguenti, il rapporto continua a scendere fino al 2024, raggiungendo il valore di 15,4% del pil, principalmente come conseguenza delle più elevate ipotesi di crescita del prodotto previste dalla Nadef 2021 rispetto a precedenti previsioni. Negli anni immediatamente successivi al 2024 il rapporto tende a stabilizzarsi fino al 2029-2030. Successivamente il rapporto spesa/pil aumenta velocemente fino a raggiungere il picco relativo del 16,4% nel 2044 per poi iniziare una veloce discesa che tocca il livello del 15,7% nel 2050 per attestarsi infine al 13,2% nel 2070. L’impatto che verrà prodotto dalla guerra sul pil potrebbe portare alla necessità di dovere rivedere le proiezioni con possibili nuove valutazioni anche nell’ambito del tavolo di concertazione in corso (sia pure al momento sospeso) considerando anche le dinamiche demografiche descritte dall’Istat secondo cui a fine 2021 si rileva un ulteriore effetto recessivo sulle nascite che scendono sotto la soglia di 400 mila unità, facendo registrare ancora una volta un nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia.

Non va dimenticato poi come l’andamento del pil rappresenta poi sul versante della adeguatezza delle prestazioni il fattore di rivalutazione delle pensioni contributive che già hanno scontato gli effetti recessivi della pandemia con un mancato apprezzamento dei montanti in maturazione. Anche questo aspetto andrà ponderato nel confronto governo-sindacati per proteggere le future pensioni. Ulteriore alert è poi rappresentato dal forte incremento dell’inflazione con effetti sulla perequazione nel sistema previdenziale obbligatorio e la necessità che la gestione finanziaria dei fondi pensione, in un delicato confronto anche con la volatilità di mercati, immunizzi il risparmio previdenziale da quella che appare sempre più come una tassa iniqua e occulta. (riproduzione riservata)
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