STUDI LEGALI IN PRIMA LINEA PER AFFIANCARE LA NASCITA DI NUOVE IMPRESE TECNOLOGICHE
di Roberto Miliacca
Le tecnologie digitali hanno ormai invaso il mondo della finanza, ambito che non si limita a quello bancario ma si estende anche a quello finanziario e assicurativo. I servizi finanziari stanno evolvondo e, con loro, le normative, nazionali ed europee, che introducono un nuovo modo di fare banca: l’Open Banking. Secondo gli ultimi dati disponibili, relativi al 2021 ed elaborati dall’Osservatorio Fintech & Insurtech della School of Management del Politecnico di Milano, le realtà innovative nel settore fintech ed insurtech sono 564, capaci di raccogliere 2 miliardi di euro con un valore medio di 3,6 milioni di euro. Il 53% delle nuove realtà sono startup, il 24% pmi, il 21% scaleup, e il restante 2% corporate. Nel 2021 gli investimenti in startup da parte delle compagnie assicurative e degli intermediari, sono aumentati, raggiungendo quasi i 10 milioni di euro, rispetto ai 5,1 del 2020. L’accelerazione tecnologica è sotto gli occhi di tutti: alcuni servizi insurtech vengano già utilizzati abitualmente dai clienti, per esempio l’acquisto di polizze assicurative in digitale (utilizzate dal 31% degli utenti e conosciute dal 49%) o la modifica della coperture assicurativa in digitale (utilizzate dal 18%). Entro il 2030 si stima che il valore dei premi complessivi toccherà i 10 trilioni di dollari a livello mondiale e che l’80% delle polizze sarà veicolato attraverso piattaforme digitali, divenendo lo standard di mercato. Il mondo dell’avvocatura d’affari in questi mesi non è stato fermo a guardare, ma anzi ha affiancato molte imprese dei settori Fintech e Insurtech per gestirne non solo la nascita, ma soprattutto le complessità, per tutto ciò che riguarda la stabilità finanziaria, la tutela dei consumatori e degli investitori, la cyber security e la normativa antiriciclaggio. E questa settimana, su Affari Legali, ci siamo confrontati con alcuni degli studi che seguono il settore, per capire quali sono le sfide legali del futuro.

Fintech e insurtech, per i legali le sfide sono algoritmi e big data
Pagine a curadi Antonio Ranalli
Finanza e assicurazioni sono sempre di più legate a doppio filo al mondo delle tecnologie. Nate come piccole nicchie all’interno del mondo finanziario e assicurativo, le cosiddette Fintech e Insurtech stanno portando un profondo cambiamento ai tradizionali modelli di business nei più diversi settori. Fintech e insurtech sono un laboratorio, anche per il giurista. Un laboratorio che vale globalmente circa 110 miliardi di euro (di cui oltre 180 milioni di euro in Italia), e che, secondo i dati raccolti dall’ultimo rapporto Pulse of Fintech di Kpmg, e da un’analisi su dati Allied Market Research, a tendere, nel 2030, arriverà quasi a triplicare.

«Basti pensare, ad esempio, al mondo dei pagamenti, del credito e del micro credito, degli investimenti e dei micro investimenti, delle criptovalute e degli strumenti di finanziamento dell’attività di impresa», spiega Andrea di Castri, partner Andersen, «Fenomeni e impatti capaci di modificare alcune consuetudini sociali e comportamentali, contribuire all’educazione finanziaria dei più giovani e di persone che non vi erano in precedenza esposte e alimentarsi a loro volta delle esigenze, tendenze e desiderio di cambiamento che ricevono di ritorno dalle realtà stimolate dal cambiamento. Uno scenario in così rapida e continua evoluzione non può che costituire terreno fertile per la nascita di opportunità e, al contempo, per il presentarsi di nuovi rischi che è compito delle Istituzioni e dei Regolatori tutelare, ad esempio in materia di stabilità finanziaria, tutela dei consumatori e investitori, cyber security, antiriciclaggio. Compito certamente non facile in momenti in cui si è spesso costretti a rincorrere e arginare fenomeni già in essere e in continuo divenire, intervenendo in maniera equilibrata tra le esigenze di protezione e salvaguardia dei mercati e dei consumatori/investitori e lo slancio innovativo in atto, senza cadere nella tentazione di una eccessiva regolamentazione».

Per Giulia Tenaglia, associate del dipartimento di Ip di BonelliErede «il settore assicurativo, negli ultimi anni sta diventando un punto di riferimento nel segnare il passo dei trend tecnologici. Quello assicurativo è un settore naturalmente da sempre «data-driven»: solo ampliando la disponibilità e la qualità delle informazioni a disposizione una compagnia può orientare le proprie scelte. L’analisi dei dati è essenziale in tutte le fasi del contratto assicurativo: dalla predisposizione del prodotto, all’individuazione dell’offerta migliore per il singolo cliente, fino alla fase liquidativa. Oggi l’intera economia è sempre più fondata sui dati, di cui, d’altra parte, abbiamo sempre maggiore disponibilità. Ovviamente la disponibilità del dato di per sé non crea valore. Per estrarre davvero valore dai dati in genere, e dai big data in particolare, occorrono processi e strutture in grado di garantire la correttezza del dato in termini di affidabilità e legalità nonché tecnologie in grado di analizzarli. La digitalizzazione dell’intera filiera del dato è essenziale per procedere in questa direzione. L’analisi dei dati inoltre deve essere quanto più rapida ed immediata poiché le informazioni divengono rapidamente «obsolete», ma le offerte devono essere quanto più personalizzate. L’interazione tra corretta configurazione dei flussi di dati e operatività della tecnologica (in particolare delle intelligenze artificiali) è essenziale. Solo così si può trarre il massimo dalla digitalizzazione».

La connettività virtuale unitamente all’intelligenza artificiale e all’applicazione di algoritmi, consentono di generare servizi e prodotti sempre più innovativi allargando le maglie a nuovi canali attraverso i quali risorse e relazioni finanziarie possono circolare favorendo l’acceso ai mercati a player nuovi e diversi dagli intermediari istituzionali. «Negli ultimi anni la crescita esponenziale della «finanza tecnologica» ha sensibilizzato le autorità nazionali e internazionali ad avviare un processo di indagine ed intervento volto a misurare le potenzialità e i rischi e a definire possibili modelli regolatori, al fine di garantire la stabilità dell’intero sistema senza pregiudicare le opportunità di sviluppo che le nuove tecnologie possono offrire», spiega Massimiliano Elia, of counsel di Pavia e Ansaldo, «Nell’ottica di armonizzare l’impatto dell’attività finanziaria innovativa è intervenuto il legislatore con il d.l. 34/2019, poi convertito con la legge 58/2019, prevedendo la possibilità di immettere nel mercato prodotti e servizi finanziari innovativi beneficiando di un regime autorizzativo e regolamentare agevolato e temporalmente limitato, definito regulatory sandbox. Si tratta di un istituto che privilegia i nuovi intermediari rispetto a quelli tradizionali, in quanto consente alle nuove società che presentano prodotti tecnologicamente innovativi e non abilitate all’esercizio di attività coperte da riserva, di beneficiare di una procedura di autorizzazione semplificata in termini di requisiti patrimoniali, tempi e adempimenti».

«Siamo giunti a una fase in cui le evoluzioni del settore sono trainate anche dall’introduzione di nuove norme, specialmente a livello europeo, che offrono finalmente risposte ai dubbi interpretativi sinora irrisolti e consentono agli operatori di destreggiarsi nel mercato con maggiori certezze», dice Marco Boldini, head of regulatory & fintech di Orrick Italia. «Si pensi ad esempio alle crypto-attività. Ad oggi, in Italia, come in gran parte dei paesi europei, le crypto-attività sfuggono a qualsiasi forma di regolamentazione, tanto che ad aprile 2021 Banca d’Italia e Consob avvertivano ancora gli investitori dei rischi connessi agli scambi di cryptovalute dovuti principalmente al fatto che si tratta di strumenti non regolamentati. Questo quadro si appresta però a importanti cambiamenti. Si attende infatti l’adozione del MiCar, la proposta di regolamento sui mercati delle crypto-attività già avanzata dalla Commissione Europea. Altre modifiche sono attese alla disciplina MiFid e Idd, sia per il necessario coordinamento con il MiCar sia per attrarre sotto il relativo ambito di applicazione servizi e prodotti con caratteristiche «digitali» che ad oggi non rientrano nelle definizioni esistenti».

La diffusione sul mercato delle cripto-attività (cd. token) e la loro qualificazione giuridica è oggi un argomento all’attenzione di molti studi legali. «Infatti, sono sempre più numerosi quegli operatori interessati a usufruire di un mercato liquido, quale quello dei token, in cui gli scambi sono veloci ed economici, senza dover ricorrere all’ausilio di intermediari», spiega Marco Penna, partner di Legance – Avvocati Associati, «Attraverso il processo di «tokenizzazione» è possibile, fra l’altro, digitalizzare le informazioni relative ai diritti inerenti un bene reale e incorporarli in un token, che viene quindi registrato e conservato su una blockchain, consentendo in ultima analisi un maggior livello di trasparenza per tutti i partecipanti al network.Tale meccanismo risulta essere particolarmente vantaggioso per il settore immobiliare, caratterizzato da asset notoriamente illiquidi. In tale contesto, ciascun token, rappresentativo di una quota percentuale dei proventi derivanti da un immobile circolerebbe senza quei particolari limiti (geografici e temporali) caratterizzanti da sempre questo mercato. Nonostante quindi gli indubbi vantaggi e sebbene le Autorità di vigilanza nazionali abbiano iniziato a considerare le conseguenze derivanti dalla circolazione dei token, ad oggi permane un’incertezza normativa circa la natura di tali asset digitali e il perimetro entro il quale gli operatori possono utilizzare tali strumenti».

«Le aspettative di crescita del settore sono legate sia a fattori macroeconomici – come l’andamento dell’economia, la presenza di politiche fiscali accomodanti, quali le agevolazioni fiscali per chi investe – sia a circostanze che riguardano più specificamente la base clientela, come il grado di digitalizzazione e l’evoluzione della domanda», spiega Andrea Natale, presidente di Npa – studio legale e aggregato di Diritto civile all’Università di Parma, che al tema ha dedicato il volume «I pilastri del fintech» (Giuffrè Francis Lefebvre), «L’esperienza mi ha posto due quesiti: perché e come. Perché solo negli ultimi anni si parla di fintech e insurtech, visto che da quando è stato realizzato il primo calcolatore, il mondo finanziario e assicurativo se ne è sempre avvalso. Come l’ordinamento debba qualificare i nuovi servizi e prodotti, cioè se sia sufficiente l’interpretazione estensiva delle regole già esistenti o se serva l’intervento del legislatore. Al perché oggi, osservo che la tecnologia non è più un mero strumento per agevolare l’attività, ma è diventata un servizio e un prodotto nuovo; in breve, un nuovo modello di business. La pandemia è stata un fattore di accelerazione di questa tendenza. Al come, si presenta immediato il rischio di overshooting regolamentare: sarebbe la via più facile, ma bloccherebbe lo sviluppo del paese».

Nell’ambito assicurativo e finanziario sono ormai «di moda» i cosiddetti criptoasset, tra cui sono largamente note le criptovalute (Bitcoin in testa). «Se per l’Agenzia delle Entrate le criptovalute sono da assimilare alle valute straniere, con conseguente tassazione solo in caso di redditi «speculativi», il relativo monitoraggio nella dichiarazione dei redditi, sempre per l’amministrazione finanziaria, è comunque dovuto, a prescindere dal conseguimento di redditi o meno», spiega Aldo Bisioli, socio di Biscozzi Nobili Piazza, «Spesso accade che i contribuenti dimentichino di inserire le criptovalute nel famigerato quadro «RW» della dichiarazione dei redditi, con pesanti conseguenze sanzionatorie (di tipo pecuniario). L’obbligo risulta peraltro confermato dalle istruzioni al modello Unico 2021, relativo ai redditi 2020, dove è espressamente prevista la segnalazione delle criptovalute con il codice «14» (altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali); stante la natura dell’investimento, non è invece richiesta l’indicazione dello Stato estero di riferimento. Non è invece del tutto chiaro se anche per le criptovalute valga il limite di 15 mila euro, al di sotto del quale non scatta l’obbligo di monitoraggio. In ogni caso, le valute virtuali non sono soggette all’imposta sul valore delle attività finanziarie estere (Ivafe) perché i borsellini elettronici in cui sono custodite non sono equiparabili giuridicamente né a depositi né a conti correnti bancari».

La digitalizzazione e lo sfruttamento di sistemi tecnologici integrati, dovuti anche all’evoluzione normativa in taluni specifici ambiti dell’ecosistema bancario, ha consentito l’ingresso di nuovi player nell’arena finanziaria. È il caso dei third party payment service providers, il cui ruolo è stato legittimato dalle modifiche introdotte dalla direttiva sui servizi di pagamento che ha formalmente ampliato lo spettro di soggetti abilitati a prestare servizi di pagamento. «La fruibilità di questi nuovi modelli di servizio, è stata resa possibile grazie all’introduzione di standard aperti di comunicazione, che hanno dato vita a protocolli di open banking, attraverso i quali gli interlocutori che popolano il settore dei servizi di pagamento on-line, possano riconoscersi e interloquire tra loro», spiega Ubaldo Caracino di Eversheds Sutherland, «Proprio i progetti tecnologici legati all’open banking e, in particolare, alle Api, hanno rappresentato la principale fonte di catalizzazione degli investimenti, nell’ultimo biennio. Le sfide proposte dall’innovato contesto normativo, hanno, inoltre, rappresentato un’occasione di innovazione sia di prodotto che di servizi. In tale scenario devono collocarsi, i progetti che riguardano la creazione di sistemi di credit scoring evoluto, i quali consentono alle banche di avvalersi di un patrimonio informativo più completo grazie al servizio di informazione sui conti oppure la formulazione di soluzioni di pagamento dilazionato (del tipo buy now pay later) che permettono al cliente di dilazionare il pagamento di beni e servizi presso gli esercenti convenzionati».

«Stiamo assistendo a un aumento della domanda di assistenza da parte dei clienti che sempre più di frequente vogliono capire le implicazioni legali, oltreché tecniche, di utilizzare tecnologie come smart contracts, blockchain e tokens nel proprio business», dice Federica Caretta, managing associate di Deloitte Legal. «I settori regolamentati come quello finanziario e assicurativo sono certamente i più all’avanguardia in questo senso, supportati anche da una forte spinta dei rispettivi enti nazionali ed europei, che hanno già da qualche tempo concentrato la propria attenzione sul fenomeno. Deloitte Legal si è approcciato piuttosto presto a queste tematiche anche grazie all’interazione costante con le altre function del network, che assistono clienti del mondo finanziario ed assicurativo nell’implementazione di questo tipo di soluzioni tecnologiche. La sfida, dal punto di vista giuridico, consiste non soltanto nel riuscire a distaccarsi dalle categorie tradizionali del diritto, incluso quello finanziario e assicurativo, per comprendere le peculiarità che l’applicazione delle nuove tecnologie comporta, ma anche nell’essere in grado di adattare la normativa esistente all’esigenza comunque di restare nell’ambito di un framework normativo in continua evoluzione. Consob e Banca d’Italia si sono rivelate estremamente attente a venire incontro e trarre vantaggio dai cambiamenti che vengono chiesti dal mercato per poter sfruttare le nuove tecnologie».

Fintech e Insurtech stanno maturando e, da più parti, si solleva la richiesta di una svolta regolamentare che tenga conto delle innovazioni tecnologiche più recenti, dei nuovi prodotti e delle nuove metodologie di circolazione di rischi e capitali. «Centrale, in questa prospettiva, è la valutazione del ruolo delle cryptocurrencies, basate su una tecnologia che potrebbe esser utile – in un prossimo futuro – alle banche centrali per ampliare le formule di emissione della moneta (avente corso legale)», dice Valerio Lemma, counsel in Dentons. «Nella ricerca di una definizione che possa esser utile alla costruzione di un ordine giuridico del relativo mercato, gli studiosi sono attenti a comprendere l’utilità delle cryptos per l’economia, nonché gli aspetti che richiedono presidi specifici (in termini di stabilità, trasparenza e concorrenza). Tuttavia, appare sempre più evidente la difficoltà di monitorare ed intervenire su sistemi veloci e complessi, quali sono quelli che si vanno affermando nella finanza contemporanea. Da tempo, ormai, si osservano due tendenze: la decentralizzazione degli scambi e la frammentazione delle operazioni. Oggi è significativa la semplicità con cui tali tendenze si vanno diffondendo tra gli operatori finanziari, con la conseguenza di introdurre soluzioni alternative alle tradizionali formule di offerta dei capitali o di raccolta del risparmio. Analogamente è a dirsi per il mercato dei rischi, nel quale le imprese di assicurazione, per un verso, stanno valutando nuove metodologie di gestione delle esposizioni e, per altro verso, sono chiamate a coprire pericoli di nuovo tipo».

Secondo Donato Varani, socio di Annunziata&Conso «un’interessante analisi di come le nuove tecnologie stanno entrando nel sistema finanziario italiano è possibile ricavarlo dalla lettura della seconda «Indagine Fintech nel sistema finanziario italiano», pubblicata dalla Banca d’Italia nello scorso novembre. La pervasività della trasformazione che ne emerge in tutti i settori del mercato finanziario è evidente nel credito, nell’assicurazione, nei pagamenti nella maggiore attenzione alla customer experience e nella maggiore efficienza ricercata nei settori operativi degli intermediari. In connessione a tali trasformazioni si trasformano anche i rischi da fronteggiare soprattutto legati alla cybersecurity, alla reputazione e ai rischi operativi. La necessità di affrontare problematiche di compliance regolamentare, soprattutto per le imprese che si affacciano sul mercato finanziario con progetti innovativi caratterizzati da forti componenti tecnologiche, implica studi e approfondimenti su tali aspetti. Ciò è testimoniato anche dall’apertura di canali destinati all’interlocuzione con il mercato da parte delle Autorità per agevolare le imprese nell’inquadramento regolamentare, nella sperimentazione, nell’individuazione di eventuali ostacoli all’introduzione dell’innovazione. Nel contesto di trasformazione odierno, il ruolo della consulenza nel settore finanziario è destinato inevitabilmente a trasformarsi».

Il mercato assicurativo presenta dei margini di efficientamento notevoli, sia sotto il profilo della digitalizzazione del rapporto con i clienti, che dal punto di vista dell’innovazione dei prodotti e dei processi. «Come studio stiamo assistendo alcuni operatori che vogliono avviare l’offerta di prodotti assicurativi attraverso piattaforme interamente digitali, in settori anche diversi da quello della RC auto e moto, dove ormai l’offerta tramite canali digitali è significativamente radicata», spiega Angelo Messore, partner di Lexia Avvocati. «Un nuovo trend è rappresentato dall’offerta di servizi di comparazione relativi a polizze unitamente a servizi di comparazione maggiormente personalizzati, volti ad ottimizzare la gestione dei costi delle utilities ovvero in generale le spese finanziarie dell’utente. Altri progetti che stiamo seguendo si basano invece sull’offerta di micro-assicurazioni (c.d. instant insurance) soprattutto a clienti nativi digitali (ad esempio in relazione a viaggi, sport, etc.), oppure ancora di prodotti previdenziali (fondi pensione aperti) per lo stesso target di clientela. Vediamo, infine, alcuni operatori che intendono innovare affidando all’Ia tutti i passaggi legati alla gestione del rapporto assicurativo, dal pricing e l’on-boarding del cliente fino alla gestione dei reclami».

Grazie al fintech e innsurtech, il processo di disintermediazione e decentralizzazione delle istituzioni finanziarie stia accelerando. «Più precisamente, al momento è possibile identificare almeno tre filoni principali di sviluppo», spiega Maurizio Delfino, managing partner di Delfino Willkie Farr: «quello volto a cercare di offrire una complessa molteplicità di prodotti finanziari sulla stessa piattaforma (filone che genera, tra l’altro, un incremento delle acquisizioni di start up finanziarie da parte di banche o società di fintech più grandi); una serie di tentativi di decentralizzare la finanza, sviluppando applicazioni su blockchain che consentono di eliminare il bisogno di ricorrere agli intermediari finanziari tradizionali come banche, assicurazioni, etc. Al contempo, la complessità dell’attività regolamentare viene a crescere, così come i rischi per i consumatori in termini sia di diritto alla riservatezza che al mantenimento di un livello di protezione analogo a quello oggi corrente. Le esigenze degli operatori del fintech e insurtech spaziano dalla consulenza legale in tema di crowdfunding a quella relativa alla blockchain, alla definizione di nuove regolamentazioni in relazione alle nuove tecnologie».

«Si è inaugurata una nuova fase di interventismo regolatorio in ambito fintech», sostiene Silvia Dell’Atti, partner dello studio Macchi di Cellere Gangemi. «Il legislatore europeo ha predisposto un pacchetto di misure – che include la proposta per il Regolamento MiCa (Market in Crypto Assets) – volte a sostenere l’ulteriore sfruttamento del potenziale della finanza digitale in termini di innovazione e concorrenza, attenuando nel contempo i rischi di riciclaggio. A livello nazionale il d.l. n.34/2019 ha consentito, tra l’altro, a Consob di ordinare ai fornitori di servizi di connettività Internet di inibire l’accesso dall’Italia ai siti web tramite cui vengono offerti servizi finanziari senza la dovuta autorizzazione. Sempre più operatori, in un processo di disintermediazione, offrono prodotti e servizi fintech agli utenti e l’avvocato si trova così ad affrontare problematiche civilistiche e penali (violazioni della privacy, uso distorto dei dati, disciplina consumeristica, etc) in una realtà trasformata dalla tecnologia, con il problema di inquadrare i nuovi servizi e prodotti della tecno-finanza nella tassonomia tradizionale».

Per quanto attiene l’Insurtech c’è chi ha scelto di declinare il tema nell’accezione del Regtech. «Il settore assicurativo è regolato da norme complesse, spesso stratificate tra fonti interne ed europee, che espongono gli operatori del settore a non trascurabili rischi sanzionatori e reputazioni», dice Rudi Floreani, managing partner di Studio Floreani. «I processi di compliance, sono gestiti in maniera «tradizionale», con la creazione e la gestione di documenti per lo più cartacei. Abbiamo pensato a un modo nuovo di fare compliance, utilizzando la tecnologia e innovando il supporto legale ai nostri clienti. Il risultato è Techa, «scrigno» tecnologicamente molto evoluto che attraverso sistemi di AI gestirà sia documentazione che processi legati ai prodotti».
Fonte:
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