BLOCCO DELL’EXPORT, IL MERCATO RUSSO VALE 7 MLD DI FATTURATO PER LE AZIENDE ITALIANE
di Marco Capponi
Lo stop alle esportazioni verso la Russia potrebbe provocare in Italia il default di 1.200 imprese e la perdita di oltre 26.500 posti di lavoro. Considerando anche l’indotto e senza dimenticare fattori legati strettamente al conflitto come i rincari dell’elettricità e delle materie prime, i numeri potrebbero addirittura raddoppiare. E’ il campanello d’allarme lanciato da uno studio congiunto del gruppo di mediazione creditizia Nsa e dell’Università Cattolica di Milano, analisi che ha calcolato il peso dell’esposizione al mercato russo di 161.581 imprese esportatrici divise in otto gruppi e 25 settori produttivi, rappresentative di oltre 905 miliardi di euro di fatturato e 3,2 milioni di dipendenti.

Nel complesso, come si può vedere nella tabella in pagina, l’esportazione verso la Russia pesa sul fatturato complessivo delle imprese circa 7 miliardi, lo 0,8% dei ricavi totali. Una quota di per sé non drammatica, che però assume maggiore rilevanza se si va a osservare il peso dell’export verso Mosca. Per il comparto dei macchinari e delle apparecchiature, per esempio, il mercato russo vale quasi 2 miliardi: l’interruzione del commercio con il paese potrebbe mettere a repentaglio 265 aziende e quasi 8mila posti di lavoro. Ancor più preoccupante la situazione del mercato tessile e dell’abbigliamento: un’eccellenza del made in Italy mondiale che in Russia ha un giro d’affari di 1,2 miliardi. Sono oltre 340 le imprese a rischio default se il canale con Mosca dovesse interrompersi e oltre 6mila i lavoratori che potrebbero trovarsi disoccupati a causa delle tensioni tra i due Paesi.

In generale, la quota di aziende a rischio fallimento sul totale del campione è pari allo 0,7%. Ma alcuni settori si trovano molto più sotto pressione di altri: nel tessile, per l’appunto, quasi il 2% delle imprese potrebbe essere costretto a chiudere i battenti e nel comparto dei macchinari analoga sorte potrebbe toccare all’1,8% del totale. Tra i gruppi meno impattati dall’effetto sanzioni ci sono invece l’alimentare (0,4% delle imprese a rischio default), il metallurgico (0,4%) e i trasporti (0,5%).

Quanto alla ripartizione geografica, l’analisi individua nel Nord-Ovest l’area più a rischio, per la semplice ragione che il 41% del fatturato complessivo (373 miliardi) e il 38% dei dipendenti (1,2 milioni) delle imprese esportatrici si concentrano in questa area della penisola. Segue il Nord-Est (30% di occupazione e fatturato). Minori, ma non irrilevanti, i rischi per Centro, Sud e isole.

Come contrastare questo scenario allarmante? Il rapporto analizza in particolare l’attività del Fondo di Garanzia nel 2021 relativa ai settori produttivi esportatori verso la Russia. Nel corso dei 12 mesi 49.848 aziende, il 31% del totale, ha ottenuto finanziamenti, per un valore complessivo di 23,2 miliardi. Le garanzie prestate dal Fondo Centrale hanno raggiunto i 16,6 miliardi. Il settore più interessato è stato quello dei macchinari, che ha ottenuto 6,4 miliardi di finanziamenti a fronte di 4,6 miliardi di garanzie. In considerazione dei rischi che imprese e dipendenti corrono, evidenzia lo studio, sarebbe indispensabile «prevedere l’aumento dei finanziamenti, l’elevamento della percentuale delle garanzie e tempi più lunghi per i piani di rimborso». La ragione principale risiede nel fatto che, venuta meno la Russia, queste aziende dovranno cercare sbocchi su mercati sostitutivi, «un’operazione non immediata». «Le garanzie pubbliche», ha commentato Gaetano Stio, presidente del gruppo Nsa, «sono diventate una parte del sistema-economico finanziario italiano, con un ruolo preponderante». Oltre al sostegno alle imprese, a cominciare da quelle più piccole, sono state in grado infatti di «preservare i risparmi dei cittadini, concedendo alle banche la garanzia di ultima istanza dello Stato», ha aggiunto il manager. E se il framework comunitario attualmente in discussione permettesse di mantenere un livello di garanzia ancora al 90%, per Stio è «limitante mantenerlo solo per i settori coinvolti nelle sanzioni alla Russia e nelle difficoltà dell’Ucraina», perché in un sistema come quello italiano, in cui il nucleo portante sono le piccole imprese «quasi sempre contoterziste di realtà maggiori», l’estensione della crisi dai settori più coinvolti a quelli collaterali, e quindi all’indotto, «è non solo possibile ma addirittura probabile». (riproduzione riservata)
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