di Andrea Deugeni
I pronostici della vigilia non sono certo favorevoli. Sorprese dell’ultima ora a parte, dopo l’endorsement pro-lista del consiglio all’unisono degli ascoltatissimi proxy advisor, del Financial Times, foglio di riferimento della finanza internazionale e di alcuni pezzi da 90 tra i grandi fondi internazionali – vero ago della bilancia in assemblea con oltre il 35% del capitale – per i due grandi vecchi del capitalismo, Francesco Caltagirone e Leonardo Del Vecchio, l’esito del voto sulla governance del Leone appare quasi già segnato: il mercato prevede che Philippe Donnet venga agevolmente riconfermato per un altro triennio alla guida di Trieste. Sarà la fine della guerra con Mediobanca, accusata di eterodirigere la compagnia? Niente affatto. I due imprenditori che radio borsa accredita di una quota complessiva leggermente inferiore al 20% che ai prezzi odierni vale quasi sei miliardi ben sanno che l’eventuale sconfitta in assemblea sarà soltanto il primo assalto in una guerra che si preannuncia lunga. Lo scontro è destinato a esondare a monte, nel cuore dell’ex galassia del Nord, vale a dire in Mediobanca. Qui nella primavera del 2023 andrà a scadenza il mandato del ceo Alberto Nagel e il duo Caltagirone-Del Vecchio si è mosso a tenaglia per mettere assieme negli ultimi due anni e mezzo circa il 23% del capitale. In più, stando ai conteggi degli esegeti delle grandi partite di Piazza Affari, grazie al probabile appoggio del 4% dei Benetton i due ex pattisti potrebbero essere battuti di uno scarto inferiore al 6% (di quanto messo insieme quindi da Piazzetta Cuccia con il prestito titoli e la quota dei De Agostini, diritti di voto che evaporeranno il giorno successivo al 29 aprile). Caltagirone e Del Vecchio si rivelerebbero così perdenti di successo: oltre ad avere argomenti per le proprie crociate sulla stabilità societaria riuscirebbero infatti a condizionare come a volte avviene nella politica l’intera strategia dell’azienda, pur non avendo raggiunto una maggioranza. (riproduzione riservata)
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