Carlo Giuro
Il sistema previdenziale italiano si accinge a una nuova fase di riordino, e anche la previdenza complementare in questa prospettiva tende al salto di paradigma. MF-Milano Finanza ne ha parlato con Fabio Ortolani, già commissario Covip e presidente di diversi fondi pensione, ora vice-presidente di Eurofer, il fondo pensione negoziale dei lavoratori delle Ferrovie dello Stato.
Domanda. Qual è stato il percorso della previdenza complementare italiana?
Risposta. Oggi siamo nella quarta fase della previdenza integrativa. La prima fu caratterizzata dalla catalogazione dei fondi e la scorporazione tra la previdenza e l’assistenza sanitaria per quelli preesistenti. La seconda, negli anni 2005-07, portò all’emanazione della legge 252 e poi alla campagna sul silenzio assenso e l’introduzione dei comparti garantiti. La terza, nel marzo 2012, culminò con l’emanazione di norme di carattere finanziario più attinenti alle finalità di rendimento dei fondi pensione ma contemporaneamente alla condizione di revisione obbligatoria, almeno ogni tre anni, dell’asset tattico delle masse finanziarie e l’introduzione di controlli più stringenti in tema di rischio/rendimento. La quarta fase la stiamo vivendo oggi, con il recepimento della normativa Europea Iorp II che ha responsabilizzato ancora di più i cda, ha inserito figure strategiche come quella del controllo del rischio e ha innescato la riflessione sull’utilizzo di prodotti finanziari illiquidi o alternativi di derivazione nazionale.
D. In un suo recente libro, I segni del destino, racconta la sua esperienza da commissario Covip. Cosa ricorda?
R. Durante quel periodo, dal 2000 al 2008, l’interlocuzione con le parti sociali fu quotidiana e la commissione si caratterizzò per la sua capacità di recepire al meglio possibile le necessità di una struttura che era in via di costruzione e di mettere i paletti necessari affinché le norme avessero una snellezza interpretativa capace di far nascere dal nulla fondi pensione di piccole e grandi dimensioni. Mi riferisco ai fondi di carattere negoziale ma anche a quelli di natura assicurativa e bancaria. Insomma, quel periodo fu caratterizzato da un impegno straordinario come quello, non secondario che a volte si trasformava in primario, di difendere la Commissione dalla volontà di molte forze politiche di ogni schieramento di chiudere la Covip e trasferirne le sue competenze via, via a Banca d’Italia o alla Consob.
D. Tra i temi di maggiore attualità c’è la sostenibilità delle linee garantite. Cosa ne pensa?
R. Se a questo punto il mercato si interroga su quale percentuale di garanzia deve offrire siamo sulla via sbagliata. Infatti la garanzia di tali linee in Italia si confronta con la rivalutazione del tfr: se al lavoratore non si dà una garanzia di restituzione del capitale tentando di avere una rivalutazione dello stesso in linea con la rendita del tfr, il lavoratore sarà portato a lasciare il trattamento di fine rapporto al datore di lavoro o all’Inps, con buona pace della previdenza complementare. Per ora credo che la cosa migliore sia quella di rispettare le indicazioni della Covip che nel 2007 emise una direttiva con la quale si precisò che «il capitale minimo da rimborsare all’aderente al verificarsi degli eventi coperti da garanzia va inteso come la somma dei contributi versati al fondo». Per me tale garanzia è quella dei versamenti che sommano la quota del tfr, del contributo del datore di lavoro, del contributo del lavoratore per i nuovi iscritti, mentre le stesse somme dovranno essere garantite per gli iscritti di vecchia data. Per questi ultimi si potrebbe valutare una percentuale di garanzia variabile sul rendimento accumulato nel corso della loro adesione alla previdenza complementare e alle linee garantite. Questo per dar modo ai gestori di attuare linee più performanti per poter realizzare rendimenti potenziali in linea con il tfr, che è un benchmark non ufficiale, ma esistente.
D. I fondi pensione possono interpretare un ruolo di investitori istituzionali per sostenere l’economia reale?
R. Lo stanno già facendo, anche se ancora con limitate risorse. In Eurofer lo abbiamo fatto, anche se per investimenti non domestici, ma ora si sta valutando questa soluzione, essendo il fondo espressione di grandi strutture controllate dallo Stato e come tali interessate alla crescita dell’industria italiana ed europea.
D. Che prospettive vede per l’investimento previdenziale con criteri Esg?
R. La ritengo una strada obbligatoria. Il ruolo sociale svolto dai fondi pensione si associa perfettamente con i criteri Esg. Ricordo che quando ero presidente di Cometa avevano introdotto limitazioni precise agli investimenti, escludendo numerosi settori, come per esempio le aziende che producevano armamenti e avevamo introdotto il rispetto dei criteri di investimento responsabile (Pir) delle Nazioni Unite.
D. Passando alla previdenza obbligatoria, quali sono i profili su cui intervenire?
R. Ritengo che di interventi se ne siano già fatti a sufficienza e che sia necessario ora aspettare che entrino definitivamente in vigore. Consiglierei piuttosto al governo attuale e a quelli futuri di cercare di intervenire sul mercato del lavoro, per consentire ai ragazzi di oggi di avere una carriera il più lineare possibile. Solo così sarà possibile dare stabilità alla previdenza obbligatoria.
D. Quali sono le strade per rilanciare la previdenza complementare?
R. Penso sia fondamentale fare promozione, formazione e comunicazione ai lavoratori italiani, e non solo ai più giovani. Come spesso accade nel Paese si guarda solo all’oggi, dimenticandosi che per trovare le soluzioni ci vogliono tempo e programmazione. (riproduzione riservata)
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