NEL CONFRONTO CON CALTAGIRONE IL MERCATO PREFERISCE IL NOSTRO TIPO DI MODELLO, DICE DONNET MA NON CHIUDE AGLI ANTAGONISTI
A dispetto del fatto che ha da poco in tasca un passaporto italiano, quando si domanda Philippe Donnet come saranno i rapporti con Francesco Gaetano Caltagirone dopo l’assemblea delle Generali, lui reindossa i panni da ambasciatore transalpino in terra d’altri (qualcuno direbbe, minata) e si defila dall’agone: «io non personalizzo i rapporti con i consiglieri», afferma, provando a convincere i suoi interlocutori. E mantiene lo stesso tono diplomatico anche su altri aspetti salienti della battaglia in atto per il controllo delle Generali legata alla contesa tra le due liste concorrenti, quella del Cda, che lo ricandida per un terzo mandato, e appunto quella degli imprenditori-azionisti Caltagirone-Del Vecchio. I litigi a mezzo stampa, i possibili contenziosi futuri sulle azioni prese in prestito da Mediobanca e i ricorsi in Consob di ogni tipo sono solo aspetti «legali» che appunto esulano dalle competenze dell’amministratore delegato. Sono gli avvocati che stanno litigando con due degli imprenditori più liquidi del paese, non lui.

Donnet lo spiega in questa lunga intervista a Milano Finanza in cui parla della guerra e degli scenari economici futuri, nonché delle elezioni presidenziali francesi (il suo cuore batte per Macron) a ridosso della data clou del 29 aprile, giorno in cui si capirà chi avrà vinto sulla futura guida del Leone di Trieste. Il top manager si dice tranquillo «perché è dal primo gennaio che sto lavorando al nuovo piano, che sta riscuotendo grande successo presso gli investitori».

Donnet, apparentemente rilassato, camicia celeste sbottonata e un pantalone che assomiglia vagamente a un jeans di sartoria, parla dal suo studio nella torre milanese della compagnia, e una cosa la promette subito: dal 30 aprile si tornerà a parlare solo di business e di piano industriale, che è stato accolto «inabitualmente» con calore dagli investitori incontrati negli Usa e in Europa. Quell’avverbio, così inusuale anche per un italiano autoctono, dimostra come Donnet padroneggi la lingua come l’arte di relazionarsi con l’esterno. Gli basteranno per avere la meglio in assemblea? Lui crede di sì ma non intona la celebre aria «Vincerò». Esercita prudenza, scaramanzia, pragmatismo. Forse solo scaltrezza, per un futuro che si preannuncia comunque movimentato in consiglio, quando gli azionisti avranno finalmente votato. Anche perché antagonisti come Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone non sono affatto da prendere con sufficienza. E lui, mostrando equidistanza dall’agone, cosa che ovviamente non può esistere nella realtà, lo sa bene. A pesare è anche il rischio che una vittoria di misura, con un vantaggio tra il 4,5% e il 6%, porti a una governance complessa da gestire, aprendo il fianco a cause legali. Al netto dell’ormai noto (e contestato) prestito titoli di Mediobanca (4,43%) e della quota della famiglia De Agostini (1,44%) già in via di cessione post assemblea, il gap tra le due liste sarebbe infatti quasi azzerato. Un calcolo che però andrebbe corretto alla luce del fatto che anche Caltagirone ha dato in pegno un pacchetto del 4,79% delle sue azioni, replicano da Trieste. Ma per ora è solo una lontanissima evenienza.

Domanda. Ci siamo. All’assemblea che dovrà votare il nuovo vertice delle Generali manca ormai meno di una settimana. Nella sua storia il Leone non aveva mai vissuto una contesa così aspra. Chi vincerà?

Risposta. Noi siamo convinti del nostro piano che è ambizioso e credibile e non siamo gli unici. Nei giorni scorsi i proxy advisor, da Iss a Glass Lewis a Frontis, si sono espressi tutti a favore della lista del consiglio, del business plan e del management. Importanti investitori istituzionali hanno iniziato a dichiarare che voteranno a favore del board (i primi sostegni sono arrivati da Calpers, il più grande fondo pensionistico statale statunitense, da Union Investments, dai fondo pensione canadese Cpp e Bci, da Sba della Florida e dal fondo sovrano della Norvegia, Norges Bank, ndr). Abbiamo avuto incontri negli Usa e a Londra e abbiamo riscontrato ovunque molta soddisfazione per i risultati raggiunti nel 2021 e per il nuovo piano presentato a dicembre, ricevendo solo commenti positivi e inabitualmente calorosi.

D. Come sarà la compagnia dal 30 aprile? Che strascichi si porterà dietro questa dura battaglia?

R. Ricominceremo a parlare solo di business. Dal primo gennaio siamo impegnati sull’attuazione del nuovo piano, che parte in un contesto di mercato sfidante, tra pandemia e una guerra vicina all’Europa che crea tensione umana, sociale ed economica. Come management abbiamo dimostrato di saper portare a casa due piani industriali in contesti già difficili e il mercato crede in noi. Non si tratta di una battaglia ma di due visioni sulla governance della compagnia. La nostra guarda alla sostenibilità, all’indipendenza e alle best practice di mercato. All’estero gli investitori non hanno capito niente delle ragioni di questa vicenda perché sono abituati a guardare i risultati e noi abbiamo sempre premiato tutti gli stakeholder. Sarà il mercato a scegliere.

D. Quali sono le differenze tra i due piani?

R. Il nostro è un capitalismo umano e della sostenibilità. Abbiamo l’appoggio entusiasta del mercato ma anche dei sindacati e degli agenti, e questo non è affatto banale. In questi anni abbiamo dedicato attenzione a tutti gli stakeholder, compresi gli agenti e le comunità. Abbiamo fatto leva su diversità, inclusione e capitale umano, prevedendo un piano d’azionariato per tutti i dipendenti. Nel 2017 abbiamo lanciato The Human Safety Net, iniziativa che punta a liberare il potenziale delle persone che vivono in contesti di vulnerabilità e ad accrescere l’impatto sociale di Generali nelle comunità in cui il gruppo è presente tra Europa, Asia e America Latina. Tutto ciò lo abbiamo fatto mantenendo alta la redditività. Diciamo con trasparenza quello che vogliamo fare e lo facciamo. Lascio a voi giudicare le differenze con il loro piano che appare evidentemente più rischioso.

D. Il suo compito, in caso di vittoria della lista del consiglio, sarà però anche di ricucire lo strappo che si è venuto a creare con gli azionisti. Come ci riuscirà?

R. Io parlo con tutti gli azionisti nelle consuete attività di engagement, ma il mio referente è il consiglio di amministrazione e come squadra di management abbiamo bisogno di interloquire con un cda di professionisti che ci pongano sfide ma che abbiano anche un ruolo di supporto alla nostra azione. Se vincerà la lista del board avremo un cda di 13 consiglieri che saranno eletti da un’assemblea che ha scelto il nostro progetto. Continueremo quindi a implementare il piano e mi aspetto che tutto il consiglio aiuti il management, con la sua funzione di dialettica e di sostegno.

D. Come vede i suoi rapporti personali con Caltagirone dal 30 aprile in poi?

R. Non sono per la personalizzazione di questa vicenda. Sono il candidato ceo del consiglio di amministrazione e, senza emotività, se vincerà la lista del board mi rivolgerò a tutti i consiglieri allo stesso modo.

D. Un ultimo recente motivo d’attrito è stata la decisione della compagnia di rivolgersi d’urgenza a Consob dopo le interviste rilasciate da Caltagirone e il candidato ceo Luciano Cirinà da voi considerate diffamatorie e contrarie ai principi di correttezza e trasparenza previsti per la sollecitazione delle deleghe. Perché avete deciso di farlo ormai a pochi giorni dall’assemblea?

R. È stata una decisione assunta dal consiglio di amministrazione e dei legali della compagnia. Sono questioni che esulano dalle competenze dell’amministratore delegato ma mi limito a osservare che le leggi e le regole vanno rispettate da tutti.

D. Tra le richieste arrivate dal fronte degli azionisti dissidenti, che vedono un’ingerenza dell’azionista Mediobanca nella gestione della compagnia, c’è quella di una stretta sulle operazioni con le parti correlate. Potreste in qualche modo accoglierle?

R. Le regole di Generali Assicurazioni sulle operazioni con le parti correlate sono già molto al di là della prassi di mercato ma il prossimo consiglio di amministrazione potrebbe decidere di fare ancora di più. Però parliamo dei niente. I veri argomenti sul tavolo riguardano il piano industriale e i risultati raggiunti finora. Negli ultimi sei anni abbiamo realizzato la trasformazione operativa della compagnia con un’ottimizzazione geografica che ha comportato la vendita di alcuni asset non più strategici e l’acquisto di altri. Abbiamo lanciato una strategia nell’asset management, prima assente, e migliorato la corporate governance. Abbiamo remunerato gli azionisti e nel frattempo ridotto il debito e aumentato la solvibilità di 50 punti percentuali mettendo Generali al riparo dalle intemperie di questo periodo segnato dalle incertezze. Ora siamo pronti a dare attuazione al nuovo piano.

D. Che tipo di azionista è Mediobanca?

R. È un socio importante proprio come tutti gli altri. Tutti sono importanti e meritano rispetto.

D. Beh, Mediobanca da sempre controlla di fatto Generali…

R. Lo ripeto, Mediobanca è solo un azionista importante, al pari di altri azionisti importanti.

D. Potreste decidere di introdurre la figura di un direttore generale? Più volte in passato gli azionisti oggi contrari alla lista del cda lo avevano richiesto…

R. L’eventuale scelta di un direttore generale è una competenza che riguarda direttamente l’amministratore delegato e potrebbe essere utile per raggiungere gli obiettivi del piano industriale. Se considererò l’assetto più funzionale, lo farò.

D. Durante la presentazione del piano alternativo a quello del cda più volte il candidato presidente Claudio Costamagna ha citato i buoni risultati raggiunti da Mario Greco al timone di Zurich. Riferimenti che hanno inevitabilmente portato il mercato a immaginare un’operazione tra Generali e la compagnia elvetica. Voi potreste immaginare una grande operazione di questo tipo?

R. Non c’è nessun progetto di questo genere. Anche io ho notato spesso il riferimento e ne ho sentito parlare nel mercato. Ma un’operazione del genere vorrebbe dire vendere Generali a Zurich, che tra l’altro non è una compagnia europea.

D. Intanto la competizione ha fatto bene al titolo Generali che nei giorni scorsi, sull’onda degli acquisti ha superato i 20 euro. Un valore che non vedeva dal 2008. In questi giorni, superata la data della registrazione della azioni ai fini dell’assemblea le azioni sono però tornate indietro verso i 18,5 euro. Quanto vale la compagnia?

R. Dopo la crescita in questi giorni il titolo ha inevitabilmente risentito dei venti di guerra e del fatto che si sta avvicinando la data per lo stacco del dividendo. Ma lo spazio di crescita è evidente – anche in questo caso a dirlo è il mercato – con il prezzo obiettivo medio indicato dagli analisti pari a 21,05 euro, ben più alto delle valutazioni attuali.

D. La guerra ha cambiato l’agenda delle assicurazioni?

R. Non direttamente, ma l’incertezza è evidentemente aumentata. Non sappiamo come finirà la guerra. C’è un’emergenza umanitaria con molti civili e bambini morti e tanti rifugiati, anche a Venezia. C’è una tensione sociale in Est Europa. Paesi in cui Generali ha una posizione di leadership. Poi ci sono gli impatti economici con la minore crescita del pil, l’aumento dell’inflazione e probabilmente anche dei tassi d’interesse.

D. Fatto, quest’ultimo, che però non dovrebbe essere negativo per le assicurazioni…

R. Un rialzo molto forte e repentino sarebbe un problema ma lo scenario più verosimile e più gradito alle assicurazioni è quello di un aumento graduale. In ogni caso, anche con queste maggiori incertezze, il piano Generali resta confermato.

D. In questi giorni ci sono anche le elezioni a Parigi. Voterà al ballottaggio delle presidenziali francesi?

R. Non voterò al ballottaggio ma sono per la continuità e per l’Europa.

Anche qui con diplomazia, senza nominarlo, fa capire che per lui Emmanuel Macron deve restare dov’è. Proprio come Donnet. (riproduzione riservata)
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