Lo scenario dell’assemblea più calda della storia di Generali Assicurazioni è stato palazzo Berlam. Costruito a Trieste a inizio ‘900 ricorda i grattacieli di mattoni rossi di New York. E’ lì, a pochi passi da Palazzo Carciotti dove nel 1831 fu firmato l’atto costitutivo della compagnia, che Generali ha vissuto ore decisive, sul cui esito hanno avuto un ruolo determinante proprio i grandi fondi di New York e dintorni, da Blackrock a Vanguard, o Fidelity. Dopo mesi di forti scontri tra i soci, fatti di ricorsi alle autorità di vigilanza e dure battaglie legali, venerdì 29, sono stati gli investitori internazionali a decretare il vincitore nella competizione per il rinnovo del board. Una riunione a distanza, viste le norme anti-covid, ma l’importanza del momento è stata percepita anche via web e il verdetto, come anticipato nei giorni scorsi da MF-Milano Finanza, è stato netto e a favore del ceo Philippe Donnet, candidato per un terzo mandato dalla lista del board uscente, che ha ottenuto il 55,9% delle preferenze, con un’affluenza record del 70,73% del capitale rispetto ad una media storica del 55%. L’appuntamento, del resto, era immancabile vista la posta in gioco con la sfida lanciata da Francesco Gaetano Caltagirone, diventato il primo socio privato della compagnia con il 9,95%, che ha deciso di presentare una lista alternativa, proponendo come ceo l’ex top manager della compagnia, Luciano Cirinà che fino a qualche settimana prima lavorava fianco a fianco con Donnet, come responsabile dell’Austria e dell’Est Europa. La promessa era di «svegliare il Leone», accelerando la crescita internazionale e tagliando i costi ma soprattutto di allentare il legame con Mediobanca rea, nell’interpretazione di Caltagirone, di un’eccessiva influenza su Generali. Ma il mercato non gli ha creduto con i grandi fondi che, dopo la pronuncia dei tre proxy (Iss, Glass Lewis e Frontis) a favore di una riconferma di Donnet, hanno votato compatti la lista del board come dimostrano i numeri dell’assemblea. Caltagirone dalla sua aveva l’annunciato sostegno di Leonardo Del Vecchio (9,82%), dei Benetton (salita dal 3,96% al 4,75%) di Crt (1,7%) e di Cassa Forense (0,99%) per un totale del 27,21%. In assemblea ha ottenuto il 41,73% dei votanti che equivale al 29,6% dell’intero capitale. In pratica, a quanto già previsto, si è aggiunto poco più del 2% arrivato soprattutto da fondazioni (tre, tra cui Cuneo) e grandi famiglie-imprenditori azioniste. Mentre sulla lista del board, che aveva il sostegno di Mediobanca (al 17,2% di cui 4,4% a prestito) e De Agostini (1,44% in vendita ma utile per l’assemblea) per un totale del 18,6% sono andate il 55,9% delle preferenze, pari al 39,6% del capitale totale. Il che vuol dire che ha avuto il sostegno del 21% del capitale in mano prevalentemente a investitori internazionali ma non solo (come nel caso di Invag) che hanno votato la lista del board premiando i risultati raggiunti da Donnet finora e soprattutto il nuovo piano annunciato a dicembre. «Una partita che è stata decisa dal mercato», conferma Dario Trevisan avvocato e storico rappresentante degli investitori istituzionali che per l’assemblea Generali aveva raccolto le deleghe per circa il19% del capitale «andato di fatto interamente a sostegno della lista del consiglio». Quella di Assogestioni si è fermata invece all’1,9% senza raggiungere il quorum per un consigliere. Il nuovo cda, che vedrà l’ex rettore della Bocconi Andrea Sironi salire alla presidenza, sarà quindi composto da 10 membri espressione della lista del consiglio e da 3 in quota minoranza, ovvero lo stesso Caltagirone, l’economista Marina Brogi e Flavio Cattaneo. Resta da capire come sarà la convivenza per i prossimi mesi. Il primo faccia a faccia tra il ceo e l’imprenditore si avrà lunedì 2 maggio quando si riunirà il nuovo consiglio e se è vero, come dichiarato nell’intervista a MF-Milano Finanza che in questa questione Donnet non vuol lasciare spazio a personalisti («senza emotività mi rivolgerò a tutti i consiglieri allo stesso modo», aveva raccontato) è altrettanto evidente che bisognerà provare a ricucire i rapporti. In un commento a caldo post assemblea Donnet ha subito sottolineato che «la scelta degli azionisti è stata molto chiara tanto da consentire di lavorare in un clima di serenità» ma a poche ore di distanza non sono mancate le dichiarazioni di Caltagirone che non sembra intenzionato a mollare la presa sulla compagnia su cui ha investito quasi 3 miliardi. Se è vero che non sembrano esserci spazi per una nuova azione legale dell’imprenditore capitolino facendo leva sul prestito titoli usato da Mediobanca (del 4%) vista che la differenza di voti è stata ben superiore al 10%, è evidente che gli animi non si sono distesi e il confronto potrebbe riproporsi in Mediobanca dove sia Del Vecchio che Caltagirone (rispettivamente al 18,9 e al 3%) sono soci importanti. «Tutti gli italiani sono con noi e sono soci stabili», ha dichiarato Caltagirone aggiungendo che «un consiglio eletto dal 55% dei voti non potrà non tenere conto dell’altro 45%». In ballo c’è per esempio la nomina di un direttore generale o la stretta sulle operazioni con parti correlate. Ma su questi punti Donnet, sempre nell’intervista, era stato altrettanto chiaro: «Sul direttore generale decido io mentre sulle parti correlate, dove Generali è già oltre le prassi di mercato, tocca al nuovo cda». (riproduzione riservata)
Fonte: