di Gabriele Capolino
A pochi giorni dalla data dell’assemblea che sancirà chi sarà al timone delle Generali per i prossimi tre anni, non si placano le polemiche riguardanti la passata gestione del gruppo assicurativo. I due punti su cui battono gli avversari della lista del cda capitanata da Philippe Donnet sono ultimamente le parti correlate e l’asserita sventata minaccia della vendita di Banca Generali a Mediobanca, che storicamente è il singolo maggiore azionista Generali. L’ultimo a tornarci è stato il Financial times. Ma come sono andate le cose, esattamente?

L’interesse di Mediobanca per la banca con 2000 consulenti finanziari guidata da Gian Maria Mossa risale agli inizi del 2020, ma l’esplodere della pandemia aveva di fatto ritardato di qualche mese la sua esplicitazione. Con quella operazione Mediobanca aumentava la diversificazione nel segmento del risparmio gestito con un vasta rete interna di distribuzione per i propri prodotti (non essendoci più da tempo le tre ex Bin, Comit, Credit e Bancaroma a fare da canale distributivo), rete nel caso di Banca Generali assai efficace in termini di raccolta pro capite.

L’argomento non era particolarmente tabù per le Generali: vendere la controllata al 50,17% (al tempo la quota di Generali in borsa valeva 1,5 miliardi) significava incassare tanti soldi, che potevano essere utilizzati per crescere all’estero. Era però indispensabile mantenere l’esclusiva sulla vendita dei prodotti assicurativi targati Generali, soprattutto le polizze vita. Con queste premesse si arrivò a una prima lettera ufficiale da parte del vertice di Mediobanca, agli inizi di settembre, in cui si prefigurava un possibile interesse per Banca Generali e si chiedevano alcune informazioni al fine di redigere poi una lettera più informata.

Ottenute le informazioni (poche, perché poi sempre di concorrenti si tratta), Mediobanca spedì una seconda lettera in cui si descrivevano le strategie che la banca intendeva perseguire con l’acquisizione di Banca Generali e le modalità con cui aveva intenzione di finanziarne l’acquisto. Generali convocò allora nella prima decina di settembre il suo comitato strategico, composto oltre che da Donnet, da Romolo Bardin, da Francesco Gaetano Caltagirone, da Clemente Rebecchini e da Lorenzo Pellicioli.

Bardin, uomo di Leonardo Del Vecchio, fu immediatamente negativo circa l’opportunità di proseguire nella trattativa. Donnet non era così tranchant, una volta che fosse ribadito il principio dell’esclusiva della vendita di prodotti assicurativi e Pellicioli era sulla stessa linea d’onda. Rebecchini, essendo dirigente Mediobanca, non prese alcuna posizione mentre Caltagirone si limitò a dire che nella lettera vi erano alcune cose che non andavano bene e che andavano messe a posto prima che si potesse proseguire nella vera e propria trattativa. Quindi una posizione diversa da quella di Bardin, che invece era per il no assoluto.

E un motivo per questa differenza c’era: infatti nella lettera era anche indicato che per finanziare il pagamento del prezzo, Mediobanca avrebbe provveduto a ridurre la propria partecipazione nelle Generali stesse, dando in parte in pagamento parte delle sue azioni Generali, che quindi la compagnia avrebbe potuto usare come meglio volesse. E’ verosimile che, davanti a un proposta in cui Mediobanca accettava di fare un forte passo indietro nell’azionariato di Generali, Caltagirone ne sarebbe stato il primo indiretto beneficiario, e da qui la sua reazione non negativa.

Dopo una decina di giorni arrivò una nuova lettera di Mediobanca, e una nuova convocazione del comitato strategico. Dopo averla letta, Bardin si mostrò sempre risolutamente contrario, mentre Caltagirone rilevò che i paletti che aveva messo erano stati tolti e aggiunse che per lui si poteva andare avanti nella trattativa sul prezzo, essendo caduta la pregiudiziale. Aggiungendo però che era importante che si desse subito comunicazione al mercato dell’esistenza della trattativa stessa.

Donnet, secondo quanto risulta a Milano Finanza, manifestò la sua contrarietà ad anticipare la comunicazione. La giustificazione verosimile è legata alla natura di Banca Generali, ovvero la presenza dei 2000 consulenti finanziari. Che sono asset con i piedi, pronti ad andarsene in presenza di un’offerta migliore o qualora ravvisassero un cambio di casacca non gradito. Comunicare solo l’inizio della trattativa poteva tradursi in una turbativa dell’umore della rete di cui la concorrenza avrebbe potuto approfittare. Caltagirone però fu irremovibile sulla questione.

Pur con questa spaccatura, alla fine il Comitato decise di chiedere al presidente Gabriele Galateri la convocazione del consiglio di amministrazione proprio per deliberare sulla materia. Cosa che il presidente fece.

Ma quel consiglio non si è mai tenuto. Il 28 settembre, infatti, le Generali ricevettero una nuova lettera di Mediobanca, in cui si rinunciava all’opportunità di acquisizione e si ritirava la manifestazione di interesse. Che cosa era successo? Due sono le possibili ragioni. Alla fine dell’estate 2020 era divenuto evidente il forte ritorno del Covid, in assenza ancora di un piano di vaccinazioni. L’ottimismo estivo lasciò subito il campo a una nuova fase di incertezza e lo stesso titolo Generali, che in luglio aveva riguadagnato la soglia dei 13 euro, ricominciò a scendere verso gli 11 euro. Pagare Banca Generali in parte con una moneta svalutata non era per Mediobanca un affare come prima.

Ma verosimilmente a motivare il rifiuto a proseguire è stata anche la percezione di un fronte dei venditori molto spaccato e che avrebbe reso ancora più ardua la trattativa, di per sé già complicata in quanto condotta con una parte correlata fortissima, ovvero il primo socio delle Generali. Il presidente avvisò che il consiglio non aveva più ragion d’essere e la cosa finì lì.

Resta da capire la ragione dell’insistenza di Caltagirone affinché venisse data subito informazione della trattativa al mercato. Tre sono le motivazioni possibili. La prima è un genuino interesse di Caltagirone per la trasparenza di mercato e quindi della necessità di dire subito le cose come stessero per evitare possibili speculazioni. La seconda è che quella comunicazione di fatto avrebbe reso non più rinunciabile l’acquisto di Banca Generali, con il conseguente indiretto accrescimento del potere di Caltagirone stesso nel Leone grazie al fatto che Mediobanca avrebbe ridotto consistentemente la sua quota dovendo finanziare l’acquisto e l’opa residuale su Banca Generali. Il terzo motivo attiene al fatto che, in presenza di una comunicazione ritardata, tutti coloro che erano in consiglio di Generali e di Mediobanca e le loro parti correlate dovevano astenersi dall’effettuare acquisti in borsa fino a quando quella comunicazione non fosse palesata. Ma nell’ottobre del 2020 era prevista l’assemblea di Mediobanca con il rinnovo dei vertici. E qualche azionista desideroso di accrescere la sua quota per potere contare di più nella banca di piazzetta Cuccia non avrebbe potuto farlo. A meno che le Generali avessero comunicato subito e quindi sciolto tutti dal vincolo (cosa che poi è comunque avvenuta grazie alla lettera finale di Mediobanca). Al lettore la scelta tra le tre ipotesi. (riproduzione riservata)
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