DAL QUARTO OSSERVATORIO CREDIMI: RISORSE INDIRIZZATE ALLO SVILUPPO FUTURO E NON ALL’EMERGENZA
di Roxy Tomasicchio
Rinnovare il magazzino, assumere personale o formarlo, sviluppare i canali di e-commerce o, ancora, potenziare l’uso di nuove tecnologie e software. Sono le motivazioni principali che spingono un piccolo imprenditore o imprenditrice a chiedere un finanziamento. Una tendenza che rivela un cambiamento nelle strategie di investimento: rispetto al 2020 si chiedono molte meno risorse per affrontare l’emergenza e la carenza di liquidità, per esempio per pagare i fornitori e i dipendenti. Si torna, quindi, a investire nel futuro, per irrobustirsi e poter competere. A rilevarlo è il quarto osservatorio piccole imprese italiane realizzato da Credimi, società specializzata in finanziamenti digitali, in collaborazione con l’agenzia di insight management Nextplora.

«Le imprese piccole e medie sono in una fase di ricostruzione, ma all’interno di un contesto che presenta ancora molti rischi. È proprio in un momento come questo che le pmi devono rendersi più forti per resistere e prosperare. Pensare al futuro, investire e crescere diventa indispensabile: e le imprese italiane lo hanno capito, come dimostrano i dati della ricerca», spiega a ItaliaOggi Sette Maria Grazia Andali, Chief marketing officer di Credimi. «Molti imprenditori e imprenditrici hanno dichiarato che i finanziamenti verranno impiegati per acquistare nuovi software, migliorare i canali di vendita, avviare attività di marketing digitale, assumere nuove risorse o formare quelle vecchie. Questi investimenti aiuteranno le pmi a crescere e a essere più preparate per fronteggiare eventuali momenti difficili nel breve periodo», aggiunge Andali. «Inoltre, sempre più piccole e medie imprese sono portate a rivolgersi agli operatori digitali per finanziare il proprio business, spinte dalla la voglia di semplificare i processi e produrre meno documenti, ma anche dalla maggiore fiducia nei canali digitali. Un segnale che testimonia la loro crescente fiducia verso il fintech, nel quale trovano uno strumento rapido, di semplice utilizzo e vicino alle loro reali esigenze».

«La quarta edizione dell’osservatorio racconta di un’Italia imprenditoriale che è stata piegata da due anni di pandemia, ma oggi solleva la testa e comincia a ipotizzare un futuro fatto di investimenti per ripartire e tornare a crescere, anche se in un contesto geopolitico e macroeconomico incerto come quello attuale», commenta Ignazio Rocco, fondatore e ceo di Credimi. «Sono infatti diminuite le motivazioni più strettamente emergenziali per richiedere un finanziamento e aumentate quelle che riflettono una prospettiva sul futuro. Credo che le imprenditrici e gli imprenditori italiani abbiano capito che per affrontare i momenti di crisi sia importante investire in tecnologia, risorse umane, magazzino, per farsi trovare pronti quando si vivono periodi incerti come quello appena trascorso e, purtroppo, come quello attuale. Un cambio di passo importante che va sostenuto e continuamente promosso perché le pmi sono l’ossatura della nostra economia». Gli fa eco Bruno Lagomarsino, direttore di ricerca di Nextplora: «Questa nuova edizione dell’osservatorio ci restituisce il quadro di un tessuto industriale delle pmi desideroso di ripartire e convinto che ci siano le condizioni per farlo. Il dato appare ancora più promettente tenendo conto che sono proprio le aziende di dimensioni minori, quelle individuali e con un fatturato inferiore al milione, a prevedere un maggiore ricorso al finanziamento. Si tratta pertanto della quota numericamente prevalente, spinta senza dubbio dalla necessità, ma, leggendo le motivazioni, anche dal desiderio di supportare interventi orientati alla crescita. Una fotografia di speranza che, ci auguriamo tutti, possa non essere del tutto vanificata dagli eventi geopolitici e macroeconomici che stiamo vivendo».

I numeri dell’osservatorio. L’indagine è stata realizzata su un campione di mille aziende con fatturato fino a 20 milioni di euro, per l’80% con meno di 50 dipendenti, nate dopo il 1980 (70%) e nel 27% dei casi a conduzione femminile. Il 48% delle pmi ha sede nel Nord Italia, il 33% al Sud e nelle isole, e il 18% nel Centro Italia. Da questo campione è emerso che, rispetto al 2020, che ha messo in grande difficoltà la maggior parte delle aziende medio-piccole, il 2021 è stato invece un anno di assestamento in cui le pmi hanno cercato di rimettersi in piedi e tornare solide. A testimoniarlo le percentuali: l’anno scorso sono aumentati gli importi ipotizzati per il prossimo finanziamento. Se nel 2020 solo il 7% delle imprese richiedeva cifre sopra i 100 mila euro, nel 2021 il 39% delle imprese ha dichiarato che la prossima richiesta supererà quella soglia.

Come anticipato, sono soprattutto le motivazioni per richiedere un prestito che sono cambiate radicalmente: in calo quelle «emergenziali» e in salita quelle «di prospettiva». Nel 2020 infatti il 42% delle imprese ha utilizzato i prestiti per coprire esigenze di liquidità e il 34% per pagare i fornitori. Invece nel 2021 alla domanda sulla destinazione del prossimo finanziamento, solo il 30% delle imprese ha dichiarato che lo userà per la liquidità e il 28% per pagare i fornitori. Tra le altre motivazioni che spingono le pmi a richiedere un finanziamento ci sono, appunto, quelle legate alla crescita, come: il rinnovo del magazzino (29%) l’implementazione dell’e-commerce (27%), nuove assunzioni (24%) e l’acquisto di macchinari e software (23%).

Cambia anche ciò che gli imprenditori cercano in un finanziamento: resta invariata al primo posto l’importanza del tasso d’interesse (per il 64% delle imprese), al secondo posto, ma meno rilevante rispetto al 2020 la «velocità di erogazione» (dal 47% al 40%) e «l’ammontare dell’importo» (dal 42% al 35%), mentre aumentano l’importanza della «durata» del prestito (dal 33% al 38%) e della presenza di un consulente personale (dal 20% al 25%).

Nel 2021 le imprese hanno fatto ricorso a varie forme di finanziamento: dal fido alle carte di credito, preferite principalmente dalle aziende più piccole, rispetto ai capitali propri, soluzione scelta da quelle più grandi. Infatti, per quanto riguarda le ditte individuali, il 45% ha fatto ricorso allo strumento del fido e il 50% alle carte di credito. Le aziende più grandi invece, quelle con fatturato tra i 5 e i 20 milioni di euro, hanno preferito utilizzare capitali propri (scelta condivisa dal 37%).

Ma non sono mancate imprese che non hanno avuto bisogno di alcun tipo di finanziamento: in particolare, le società di capitali (56%), quelle con fatturato sopra al milione (46%), e anche alcune di quelle con fatturato più basso (il 29% di quelle nella fascia 50 mila euro – un milione di euro).

Per quanto riguarda i settori, a fare maggior ricorso ai finanziamenti sono state imprese dell’industria (il 13% ha richiesto un prestito, ma nel 2020 era il 31%), del commercio (9% contro 35% l’anno prima), di servizi (8% contro 28%) ed edilizia (4% contro 30%). Nel 2021 il 58% delle imprese nel mondo dell’edilizia non ha mai richiesto un finanziamento.

La foto scattata dall’indagine rivela differenze tra le imprese a conduzione femminile e le altre, sia a livello totale che nello specifico delle ditte individuali. Come forma di finanziamento, le imprese femminili si sono rivolte maggiormente al fido (51%) e alle carte di credito (57%) rispetto alle imprese non femminili (rispettivamente 38% e 43%). Invece la quota di quelle che non hanno avuto bisogno di un prestito è del 26% per le ditte individuali non femminili, mentre scende al 10% per le femminili. Le tipologie di finanziamento predilette sono il mutuo (60% delle imprese femminili nell’ultimo anno) e finanziamento a lungo termine (52%). Queste aziende sembrano più orientate a un’ottica di investimento: hanno usato il credito per creare o migliorare l’e-commerce (31% contro 22% delle imprese non femminili) e per assumere nuove risorse (26% contro 16%).

In merito alle intenzioni future di finanziamento, emerge un bisogno «più urgente» da parte delle imprese femminili: il 10% pensa di richiederlo entro 3 mesi, il 33% entro 6 mesi e il 22% entro l’anno, mentre il 28% delle imprese non femminili lo richiederà più avanti nel tempo e il 39% dichiara di non averne bisogno. Spicca inoltre una forte attenzione alle risorse umane: infatti il 26% delle aziende femminili utilizzerà il prossimo finanziamento per formare e assumere dipendenti, contro un 18% delle altre pmi. Un altro dato riguarda i canali che le imprenditrici pensano di utilizzare per informarsi su un finanziamento futuro: sono decisamente meno le ditte femminili (48%) che pensano di utilizzare il consulente in banca rispetto a quelle maschili (70%). La banca diventa, quindi, non più il canale principale d’informazione di questa categoria, ma resta alla pari della ricerca online (44%) e del consiglio del commercialista (41%).
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