LE OPZIONI PER TUTELARSI DA OFFESE, TRUFFE E ALTRI CRIMINI MESSI IN ATTO SULLE PIATTAFORME SOCIAL
Antonio Ciccia Messina
Poker di opzioni (sulla carta) per difendersi da hater, truffatori e delinquenti on line. Il crimine in rete non è per nulla virtuale e le vittime sono sempre alla ricerca della strada per ottenere un riparo. Si può ricorrere alle piattaforme che gestiscono i social network oppure inviare un reclamo al Garante della privacy, si può sporgere una denuncia per avviare indagini e azioni penali oppure si può confidare in un provvedimento di urgenza o una condanna al risarcimento dei danni da parte del giudice civile. Vediamo le diverse strade, mettendo in evidenza pro e contro.

Richiesta alla piattaforma. L’interessato può chiedere alle piattaforme e agli editori di siti internet la rimozione di account e contenuti fake, offensivi o sgraditi.

Sempre con richiesta diretta alle piattaforme dei social network, si può richiedere il ripristino di account e contenuti, quando si ritiene che la rimozione sia stata scorretta (con violazione del diritto di opinione).

I vantaggi della richiesta alle piattaforme sono costituiti dall’assenza di formalità e dai tempi di risposta.

Gli svantaggi sono rappresentati dal fatto che si tratta di procedure non trasparenti: si manda la richiesta e si aspetta. Altro profilo critico è che non si applica una legge, ma si applicano regole contrattuali interne elaborata unilateralmente dal gestore della piattaforma. Non c’è, quindi, nessun controllo sul controllore e la tutela è calata dall’alto.

Si tratta di una forma di giustizia praticata da soggetti privati, che hanno anche una dimensione planetaria, al di fuori di un sistematico controllo pubblico.

Reclamo al Garante privacy. Postare dati e immagini (fotografie e video) è un trattamento di dati personali, che deve essere conforme al Gdpr (regolamento europeo sulla privacy) e al codice della privacy. In caso di abusi, si può, quindi, presentare un reclamo al Garante della privacy. Il problema è rappresentato dalla cosiddetta «esimente domestica», cioè dalla regola per cui il trattamento di dati da parte di persone fisiche per scopi esclusivamente personali non è soggetto al Gdpr e, quindi, non si può fare reclamo al Garante. Peraltro, ci sono molte pronunce del Garante nelle quali si afferma che la diffusione su Internet sfugge ad una dimensione casalinga e richiede l’assenso della persona di cui si parla nel post o riprodotta nelle immagini: ciò anche con riferimento a minori spiattellati in rete da genitori ansiosi o in lite tra loro.

Per due materie specifiche, la legge italiana ha sollecitato gli interessati a rivolgersi al Garante, che, se attivato, fa uso dei suoi ordinari poteri anche di blocco dei trattamenti illegittimi: si tratta del cyberbullismo e del revenge porn. Peraltro, non pare che questi strumenti abbiano preso piede tra le vittime di queste odiose pratiche.

In ogni caso al Garante della privacy la vittima non può chiedere di condanna i responsabili al risarcimento dei danni patiti.

Denuncia penale. Nel caso di reati realizzati in rete, si può fare denuncia alle forze di polizia. Si pensi a truffe, diffamazioni, molestie, violenze private, minacce, appropriazioni, reati informatici, illeciti penali in materia di privacy, sostituzioni di persona (account falsificati), stalkeraggio, diffusione non consenziente di contenuti sessuali e reati di pedopornografia e così via.

La quantità di norme penali è impressionante. Eppure, gli esperti o presunti tali continuano a dire che l’ordinamento è lacunoso.

In ogni caso le statistiche sono impietose: all’aumento del numero delle leggi scritte in questi anni non corrisponde una diminuzione dei crimini. Anzi, molto spesso è il contrario.

Una volta fatta la denuncia, si aspetta e si confida nelle autorità. Non sempre si arriva alla individuazione dei delinquenti; quando sono individuati, non sempre si arriva alla condanna; quando si arriva alla condanna, quasi mai è rapida ed è difficile che la vittima sia risarcita (anzi nei riti alterativi, come il patteggiamento, la persona offesa è sbattuta fuori da processo). Il grosso guaio è che si tratta sempre di rimedi a posteriori, quando ormai il danno è stato consumato e la persona lo ha interamente subito. Un altro rilevante problema è che la risposta penale è episodica, non è sistemica e la cosiddetta prevenzione generale ha dimostrato di non funzionare.

Azione civile. Se ci si accorge di un contenuto offensivo in rete oppure di una recensione denigratoria di un servizio, probabilmente fasulla, diffusa in una chat, si può tentare di chiedere un provvedimento di urgenza al giudice civile. Le controindicazioni sono i tempi (imprevedibili) e i costi (sicuramente non alla portata) di una azione civile, che si trascina farraginosamente tra cavilli procedurali e sostanziali e deve barcamenarsi tra gradi e fasi di giudizio.

Nel campo civile (con un’azione autonoma), ma anche nel campo penale (costituzione di parte civile nel processo), la vittima può, sulla carta, chiedere il risarcimento dei danni. Anche su questa opzione pesano i disservizi del servizio giustizia (tempi e costi) e, soprattutto, c’è l’incognita della solvibilità del responsabile (sempreché sia reperibile e non un oscuro e innominato titolare di una società-scatola vuota con sede sperduta all’estero).

Regole contrattuali e controlli interni: i gestori fanno le veci dello Stato
In tilt le tutele della vita virtuale sui social network. Sulla rete Internet non è che non ci siano sistemi di tutela, anzi ce ne sono pure troppi: ogni piattaforma ha il suo. Sono paralleli rispetto alle tutele garantite dalle autorità di polizia e giudiziarie dei singoli Stati, e le regole, sia sostanziali (cosa è vietato), sia procedurali (come reprimere le violazioni), sono adottate dall’alto, senza un controllo diffuso, dai proprietari delle piattaforme. Peraltro, le autorità statali e, soprattutto, le legislazioni nazionali arrancano di fronte a fenomeni planetari.

Come ha scritto la Corte di Giustizia dell’Unione europea, «Internet ha sconvolto le tradizionali strutture del mercato e i servizi in rete aprono nuove possibilità agli utenti, ma rappresentano anche nuovi pericoli per i loro dati personali e la loro vita privata» (sentenza del 5/42022, causa C-140/20).Si tratta di pericoli nuovi, in quanto riprendono la dimensione globale della circolazione delle informazioni con un perimetro spaziale dilatato e un arco temporale illimitato.

Altri elementi di novità che caratterizzano i pericoli della rete Internet sono l’ampliamento esponenziale della platea dei possibili autori di illecito (possono trovarsi in qualsiasi parte del mondo) e la possibilità di rendersi irrintracciabili dietro schermi e tastiere.

Conseguenza diretta di queste premesse è anche la strutturale difficoltà delle autorità statuali a garantire la tutela effettiva, soprattutto per ragioni di competenza territoriale (insufficiente a coprire l’intero pianeta).

Eppure, bisogna arrivare in fretta a garantire la protezione: in rete, infatti, si caricano testi e immagini, che chiunque può scaricare all’infinito e con folle velocità sui propri elaboratori e diffondere in una catena inarrestabile.

Altro aspetto, ancora irrisolto, è se e a che condizioni debba rispondere il gestore del social, che non carica i contenuti, a riguardo dei contenuti illeciti e offensivi inseriti dall’utente.

In ogni caso i beni da tutelare nella vita virtuale sono gli stessi della vita reale: il patrimonio, l’immagine e la personalità, la lealtà della concorrenza tra imprenditori, il diritto alla manifestazione del pensiero e il diritto alle prestazioni contrattuali (come il dovere di fedeltà del lavoratore subordinato).

A fronte di queste diverse e plurime esigenze, i gestori delle piattaforme, che hanno una dimensione planetaria, hanno predisposto regole contrattuali e sistemi interni di applicazione di queste regole, che possono portare alla rimozione di account e contenuti.

Molto spesso si tratta di regole sostanziali e procedurali che, di fatto, sostituiscono gli interventi delle autorità statuali. Si tratta di un sistema di giustizia privata in rete che ha organi, regole, procedure e anche una percepita sovranità internazionale.

Tutto ciò, mentre, sullo sfondo rimangono, ancora senza definizione, i temi cruciali dei rapporti di queste sovranità private con le autorità statuali: a chi rispondono, chi li valuta, chi li controlla?

Insomma, da una parte abbiano tutele delle Stato lacunose e tardive e dall’altro tutele private criticate per scarsa trasparenza e antidemocraticità: ci si chiede per quale motivo la vittima reale di un criminale virtuale sia costretta a scegliere il male minore.
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