RC MEDICA

Ignorare un problema e vivere felici e contenti

Autore: Alessandro Calzavara
ASSINEWS 341 – maggio 2022

Nella relazione al provvedimento si legge che l’art. 5 dello schema di decreto “definisce l’efficacia temporale della garanzia assicurativa, nella forma ‘claims made’, ovvero operando per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta nel periodo nel periodo di vigenza della polizza e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi in tale periodo e nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo. La disposizione richiama altresì le ipotesi di ultrattività regolate direttamente dalla legge, nonché la procedura di preavviso da parte dell’assicurato avuto riguardo ai casi di sinistro denunciati ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art.10 della Legge.”

Per quanto qui interessa il secondo comma dell’art. 5 è chiarissimo nel prevedere non solo che la garanzia si trasmette agli eredi e che l’assicuratore non può esercitare il recesso dal contratto, ma anche che l’ultrattività decennale riguarda il caso – e solo quello – di cessazione definitiva per qualsiasi causa dell’attività da parte dell’esercente la professione sanitaria. E negli altri casi? Nei casi cioè in cui l’esercente la professione sanitaria continua l’attività, ma non rinnova l’assicurazione con la stessa impresa?

Un’ipotesi questa che non si può trascurare a priori, poiché magari è l’assicuratore a recedere dal contratto per motivazioni tecniche o poiché – come talora succede – non intende più assicurare il rischio medmal oppure ancora perché è l’assicurato che decide a sua volta di cambiare assicuratore per i più svariati motivi.

In tali casi non si può pensare che il problema sia risolto con la previsione della retroattività decennale e cioè dell’operatività della garanzia per le richieste di risarcimento pervenute all’assicurato dopo la stipula della polizza, ma relative a fatti generatori della responsabilità verificatisi nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto. Infatti, in tale situazione il nuovo assicuratore non chiude gli occhi sul passato e non concede la retroattività tout court. Ricorda efficacemente un autore(1) che “Una delle clausole più

discutibili nelle coperture di responsabilità civile è quella che prevede come specifica esclusione di garanzia il fatto che il sinistro (quindi il claim) sia la conseguenza di fatti noti all’assicurato prima della stipula della polizza. Gli assicuratori infatti prima della conclusione e all’atto della stessa chiedono all’assicurato di dichiarare ai sensi degli artt. 1892 e 1893 c.c. che non è a conoscenza di fatti o circostanze che possano dar adito a richieste di risarcimento (quali, ad esempio, quelle indicate nel penultimo paragrafo della lettera o) dell’art. 1 dello schema di decreto: la richiesta di cartella clinica, l’esecuzione del riscontro autoptico/autopsia giudiziaria/autopsia di cui al DPR n.285/1990, la querela e l’avviso di garanzia).

E “quali potranno mai essere le fattispecie sussumibili in garanzia nel caso di una polizza claims made con l’esclusione dei fatti noti? La risposta è una soltanto: quasi esclusivamente sinistri per i quali il claim pervenga durante la vigenza del contratto e si riferisca ad un fatto accaduto nel medesimo periodo“ essendo “ben difficile che sia inconsapevole un medico dei fatti pregressi per cui riceva un claim e lo è forse ancor di meno un avvocato (ndr: accomunato sotto il profilo assicurativo in esame ad egual sorte) il cui eventuale errore professionale gli sarà stato puntualmente eccepito alla prima difesa utile dalla controparte processuale”(2).

Ma ciò dovrebbe rendere di tutta evidenza che siffatta impostazione espone l’assicurato – come già è stato peraltro evidenziato in passato – all’inoperatività della garanzia per i fatti così dichiarati e quindi a possibili “buchi di copertura”. Ignorare questo aspetto e soprattutto le implicazioni che ne derivano, significa mettere potenzialmente a repentaglio il patrimonio degli esercenti l’attività sanitaria e la tutela stessa dei pazienti: dimenticando, paradossalmente, l’insegnamento della Suprema Corte a sezioni unite (n. 22437/2018) secondo cui “Il regolamento contrattuale dovrà, quindi, modularsi, nell’assicurazione della responsabilità professionale, anzitutto in ragione della disciplina legale di base, che esprime un carattere imperativo, per essere non solo inderogabile in pejus, ma posta a tutela di interessi anche di natura pubblicistica, ossia la tutela del terzo danneggiato, che disvela il valore sociale dell’assicurazione”.

Orbene, se la disciplina legale di base è quella cui avere riguardo (Cass.Civ. n. 15096/2021) per “valutare se il negozio assicurativo costituisca la giusta sintesi degli interessi perseguiti in concreto dai paciscenti “e, nel caso in cui si dovesse ravvisare uno squilibrio giuridico tra le parti, per “sostituire l’eventuale clausola dichiarata nulla non già con il modello cd. loss occurrence di cui all’art. 1917 c.c.”, ma – appunto – “con uno dei modelli claims made tipizzati dal legislatore”, potremmo (forse frettolosamente) chiederci se, alla luce di quanto in precedenza considerato, la disciplina dettata a livello legislativo per gli esercenti professioni sanitarie (che non si discosta da quella prevista per gli avvocati con DM 22 settembre 2016 e che finisce per riverberarsi anche sugli altri settori professionali e non solo) sia proprio tale da individuare “non solo il substrato del modello negoziale ‘meritevole’, ma, con ciò, la stessa ’idoneità’ del prodotto assicurativo a salvaguardare gli interessi che entrano nel contratto, ai quali non è estraneo quello, di natura superindividuale, di una corretta allocazione dei costi sociali dell’illecito” (Cass. Civ. 22437/2018 cit.), non lasciando spazio a “buchi di copertura” che potrebbero vanificare la tutela degli interessi perseguiti in concreto dai paciscenti.

In proposito è stato sostenuto che l’art. 11. (Estensione della garanzia assicurativa) della legge n. 24/2017 (“La garanzia assicurativa deve prevedere una operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all’impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della Polizza”) evocherebbe lo schema della deeming clause, facendo riferimento alla sola “denuncia” dell’evento alla compagnia di assicurazione.

A parte che tale schema è previsto letteralmente solo per la copertura retroattiva, occorre aprire una breve parentesi utile ad evitare confusioni terminologiche e conclusioni affrettate. L’art. 11 parla di denuncia di “eventi” accaduti prima della conclusione del contratto e denunciati durante la vigenza della polizza, ma è evidente (Cass 22437/2018) “che il meccanismo presupposto dall’art. 11 in esame non sia quello legato al “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione” di cui all’art. 1917 c.c., comma 1 non avendo altrimenti ragion d’essere la previsione, al tempo stesso, di un periodo di retroattività e uno di ultrattività della copertura”.

La conferma è data dallo schema dei decreti attuativi, in cui non si parla di “evento” (non è presente nemmeno la definizione), ma si fa riferimento soltanto alla “richiesta di risarcimento” come presupposto per l’insorgere del “sinistro” che determina l’operatività della garanzia assicurativa su base claim. Diverso sarebbe stato se nell’anzidetto schema fosse stato richiamato o mutuato il contenuto del D.L. n. 138 del 2011, art. 3, il comma 5 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 148 del 2011), novellato nel 2017, laddove, con riguardo all’obbligo di “stipulare idonea assicurazione” posto a carico dell’esercente una libera professione in relazione ai rischi da questa derivanti e ferma la libertà contrattuale delle parti, si prevede nell’ambito delle condizioni di polizza l’offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura. Ultrattività (o postuma), si badi, non condizionata dalla cessazione dell’attività (come previsto invece dalla legge “Gelli” e dallo schema dei relativi decreti attuativi).

In tal modo si sarebbe potuto strutturare non solo un modello tipizzato e da considerare idoneo allo scopo perseguito dalle parti, ma anche un modello adeguato alle esigenze di un esercente la professione sanitaria che non voglia necessariamente essere onerato dall’obbligo di fedeltà nei confronti del suo primigenio assicuratore. Naturalmente altre soluzioni sarebbero state possibili (e non ignote al mercato assicurativo), quale ad esempio la previsione di una sunset clause.

Evidentemente però i tempi non sono ancora maturi per eliminare con un intervento di tale natura quei possibili aspetti di inadeguatezza del modello “claims made” della copertura assicurativa previsto dallo schema che continueranno a gravare, nella fase prodromica alla conclusione del contratto a livello di obblighi informativi, sull’impresa assicurativa e/o sugli intermediari, nell’ottica di far conseguire all’assicurato una copertura assicurativa il più possibile aderente alle sue esigenze. Ma rendendo comunque in tal modo meno sicura la tutela di quegli interessi anche di natura pubblicistica, ossia la tutela del terzo danneggiato, che disvela il valore sociale dell’assicurazione.

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(1) I.Partenza, Claims Made vs Loss Occurrence: cose vecchie con il vestito nuovo, in Assicurazioni, I, 2022, 72 e segg.
(2) I.Partenza, cit.


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