Il mercato ha parlato chiaro. Quella di venerdì 29 aprile è stata soprattutto una vittoria di Philippe Donnet che ha dimostrato di avere dalla propria parte alcuni dei maggiori investitori globali. La riconferma è stata del resto accolta positivamente non solo dai grandi fondi, ma anche dai competitor europei di Generali, che negli anni hanno costruito un rapporto di collaborazione e di reciproca stima con il ceo e con la sua squadra. D’altra parte, se le azioni di Mediobanca hanno evidentemente pesato sul risultato finale, non si può dire che siano state decisive per distaccare la formazione avversaria. Al contrario, a ben vedere, i numeri dell’assemblea modificano quel rapporto di forze che storicamente ha condizionato le relazioni fra Trieste e Milano, riducendole ben più di una volta a un’implicita sudditanza.

Detto questo, Mediobanca oggi siede senza dubbio al tavolo dei vincitori. La Galassia del Nord però appare tutt’altro che pacificata e il prossimo terreno di scontro potrebbe essere proprio l’assetto di governo di Piazzetta Cuccia. Qui Leonardo Del Vecchio, Francesco Gaetano Caltagirone e la famiglia Benetton (attestati rispettivamente al 19,4, al 3 e al 2,1%) sono stati finora soci silenti ma non è detto che la strategia venga confermata. Già nei mesi scorsi MF-Milano Finanza aveva registrato la disponibilità di Delfin ad arrotondare la quota, portandola oltre la soglia del 20%. Al momento si tratterebbe solo di approfondimenti, ma c’è chi ritiene che una decisione in tal senso possa maturare in vista dell’assemblea di Mediobanca del prossimo 28 ottobre. Sia chiaro: all’ordine del giorno dell’assise non ci dovrebbero essere temi particolarmente caldi, visto che l’attuale cda presieduto da Renato Pagliaro scadrà solo nell’autunno del 2023. Ma l’appuntamento resta sensibile, così come la scadenza di fine settembre entro la quale i pattisti della merchant possono comunicare le disdette dall’accordo di consultazione (oggi fermo oltre il 10%). La governance di Mediobanca entrerà in fibrillazione come accaduto nei mesi scorsi a quella di Generali? Forse, anche se la materia è delicata. Non solo perché, con un’affluenza abitualmente intorno al 70% del capitale, in piazzetta Cuccia il peso degli istituzionali è ancora più consistente rispetto alle assemblee Generali, ma anche perché per superare il 20% Del Vecchio dovrebbe ottenere un nuovo via libera dalla Bce dopo quello incassato nell’estate del 2020 per oltrepassare il 10%. Nell’ambito di quella istruttoria Delfin era stata qualificata come investitore finanziario, soggetto cioè che, pur prendendo parte alla vita societaria della partecipata, non è interessato a esercitare funzioni di controllo. La holding ha insomma dovuto prendere le distanze dalla strategia di un attivista, anche se quello dell’influenza dominante resta tema controverso. Ma non c’è solo l’incognita Bce. Se un alleato storico di Mediobanca come Intesa Sanpaolo preferisce per il momento restare alla finestra, nella city milanese qualcuno ritiene che una contromossa di Nagel non sia da escludere. Il banchiere ha spesso ventilato operazioni di m&a nel risparmio gestito pagate con azioni Generali. Va da sé che oggi un merger avrebbe l’effetto non solo di far crescere la massa critica dell’istituto ma anche di diluire Del Vecchio, Caltagirone e i Benetton, aumentando così il peso degli istituzionali e riportando Mediobanca verso quel modello di public company verso cui era indirizzata prima del blitz di Delfin. I target? Gli analisti guardano a Mediolanum che, malgrado le ripetute smentite di Massimo Doris, rimane un’opzione credibile. Ma non si escludono altri obiettivi, come Azimut, Fineco o qualche altra realtà italiana di primo piano. Una cosa però è chiara a molti: se il nuovo confronto nella Galassia del Nord passerà da qui, per Mediobanca sarà sconsigliabile farsi cogliere impreparata. (riproduzione riservata)

Sciaudone (Grimaldi): le pistole restano sul tavolo
di Andrea Deugeni
«Continuerò a operare perché il cambiamento avvenga. Parte del risultato sarà comunque conseguito, perché un consiglio di amministrazione eletto dal 55% dei voti non potrà non tener conto dell’altro 45%». Spenti i riflettori dell’assemblea della Generali a Trieste, lo sconfitto Francesco Gaetano Caltagirone non molla la presa: è pronto a dare filo da torcere in cda e anche alcuni osservatori legali della partita concordano che ci saranno spazi per contenziosi. «Avendo comunque realizzato un risultato importante – spiega a MF-Milano Finanza Francesco Sciaudone, managing partner di Grimaldi, boutique con oltre 20 anni di storia – credo che Caltagirone giocherà su due piani: da una parte minaccerà una forte pressione e di esercitare una minoranza di blocco sull’attività della società. Dall’altra, cercherà invece di trovare un equilibrio nella gestione della compagnia. Ma si tratterà chiaramente di una prova di forza, agitando azioni legali per poi far pesare internamente il proprio 30% e arrivare poi a una composizione». Ma per l’esperto lo scenario nella governance delle Generali «resterà quello di un equilibrio temporaneo, destinato a essere rivisto nel breve-medio termine», anche perché «nessuno farà un passo indietro» riguardo a eventuali risvolti legali dei tanti ricorsi ed esposti che sono stati mossi, da ambo le parti, alla Consob e alla magistratura. «Continueranno – dice – su quanto confezionato in passato. Sarà un restare con le pistole sul tavolo del board, facendo finta di essersi messi d’accordo». Sciaudone insiste sulla «situazione d’equilibrio estremamente precario, potenzialmente litigioso» nella compagnia, non soltanto perché esiste la possibilità per l’imprenditore romano di riconvocare in futuro l’assemblea per cercare di ribaltare l’esito del voto una volta che sarà scaduto il prestito titoli di Mediobanca, ma anche perché l’appoggio decisivo di Piazzetta Cuccia nel far eleggere la lista del consiglio con la riconferma di Donnet «ripropone il tema di un eventuale controllo di fatto dell’istituto sulle Generali», aspetto che «potrebbe poi essere valutato dall’Antitrust» anche sulla base di singoli esposti del socio Caltagirone. «Il comportamento che in concreto verrà tenuto da parte del nuovo consiglio delle Generali rileverà per completare l’analisi degli elementi legali per dimostrare il controllo di fatto» del primo socio sulla compagnia, aggiunge l’avvocato. In definitiva, «anche la singola operazione con parti correlate potrebbe fornire un piccolo appiglio legale per rivolgersi all’authority garante della concorrenza e del mercato». Insomma, scampato il pericolo della potenziale annullabilità delle delibere dell’assemblea e del board nel caso di una vittoria della lista del consiglio di una percentuale inferiore al 6%, «le pistole resteranno comunque a lungo sul tavolo del cda». (riproduzione riservata)

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