PER VIA NAZIONALE EVENTUALI PERDITE POSSONO RIPERCUOTERSI SULLE FAMIGLIE, CHE DETENGONO LA MAGGIOR PARTE DEGLI STRUMENTI
di Francesco Ninfole
La Banca d’Italia ha evidenziato ieri i rischi dei certificates, in particolare di quella tipologia di strumenti, oggi in circolazione in Italia per 20 miliardi di euro, che non prevede capitale totalmente o parzialmente protetto. È quanto emerge dall’analisi di Via Nazionale sui prodotti finanziari complessi. La valutazione è finalizzata all’eventuale divieto di alcuni strumenti secondo il potere di intervento (product intervention power) previsto dalla Mifir in caso di rischi per la stabilità finanziaria (mentre a Consob spetta la tutela degli investitori). Bankitalia ha osservato che questi rischi sui certificates sono ora «contenuti», ma «ciò non toglie che le perdite che potrebbero subire i detentori al verificarsi di uno scenario sfavorevole potrebbero essere in alcuni casi significative». Non si vedono pericoli per il sistema, ma alcuni investitori possono ritrovarsi in rosso.

I certificates sono titoli il cui valore può subire ampie variazioni in base ai cambiamenti di prezzo degli strumenti finanziari sottostanti. Dalla metà del 2020 il valore complessivo di certificates in circolazione in Italia è rimasto stabile, poco sopra 40 miliardi. Escludendo quelli con capitale totalmente o parzialmente protetto, «circa la metà si possono considerare potenzialmente molto rischiosi per i detentori», ha osservato Bankitalia. Via Nazionale segue gli sviluppi in questo mercato in quanto «eventuali perdite potrebbero ripercuotersi sulle condizioni finanziarie delle famiglie, il settore che detiene la maggior parte di questi strumenti, e dar luogo a possibili crisi di fiducia nei confronti degli intermediari che emettono o collocano i titoli».

Le cartolarizzazioni, le autocartolarizzazioni, le obbligazioni subordinate additional tier 1 (AT1, note anche come contingent convertibles o CoCos) e i certificates sono le tipologie di strumenti finanziari maggiormente all’attenzione della Banca d’Italia ai fini del potere di intervento: le prime tre per la crescita dei volumi negli anni scorsi, l’ultima per le ampie variazioni dei prezzi cui possono essere soggetti i relativi titoli. Per tutte le categorie di strumenti i rischi per la stabilità finanziaria sono ora valutati come contenuti. I detentori di titoli AT1 o di certificates, oltre al rischio di mercato, sono esposti al rischio di un’eventuale insolvenza dell’emittente.

Bankitalia ha anche precisato che gli strumenti considerati «complessi» a fine 2021 erano pari al 16% dei circa 2.380 miliardi di titoli di debito in circolazione in Italia. I più comuni erano cartolarizzazioni e autocartolarizzazioni (che rappresentavano entrambe il 27% del totale dei titoli complessi), obbligazioni subordinate (23%) e certificates (11%). Il valore totale dei titoli complessi è rimasto stabile negli ultimi cinque anni, ma c’è stata una contrazione delle obbligazioni strutturate, in parte compensata da una crescita dei certificates.

Anche le quote di mercato per settore detentore sono rimaste piuttosto stabili negli ultimi anni. Le banche italiane detengono circa un terzo dei titoli complessi. Quelli detenuti dalle famiglie rappresentano circa il 20% del valore del loro portafoglio di bond e sono rappresentati per lo più da certificates (per quasi 26 miliardi) e da obbligazioni subordinate (8) o strutturate (5).

Quanto ai derivati, circa il 5% degli strumenti nel portafoglio delle banche italiane si può considerare complesso. Tra questi prevalgono i credit default swaps. A fine 2021 il valore nozionale dei derivati complessi (la somma di posizioni lunghe e corte) era pari a 295 miliardi, un livello simile a quello di un anno prima. (riproduzione riservata)
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