di Silvia Valente
Le assicurazioni attive in Italia erano appena riuscite a colmare il gap causato dalla pandemia quando è arrivata «l’ulteriore crisi generata dall’invasione dell’Ucraina». Nella sola settimana successiva allo scoppio del conflitto, infatti, le compagnie italiane hanno perso 20 miliardi di plusvalenze latenti, a causa della volatilità dei mercati. Se è vero che questi passivi sono stati poi recuperati, «un fenomeno così folle come la guerra può generare altri impatti veloci e immediati che possono danneggiare ulteriormente il settore in modo molto significativo». Queste le parole del condirettore generale dell’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (Ania), Angelo Doni, durante il suo intervento al congresso della First Cisl, come riportato dall’agenzia Mf Dow Jones News.

Gli impatti della guerra in Ucraina in realtà non risparmiano nessun settore imprenditoriale italiano come europeo. E per tutelare le imprese, specie le manifatturiere, dall’aumento dei costi di produzione e dalla compressione dei margini è necessario un «sostanziale ripensamento delle regole dell’Ue sulle banche». Questo, precisa il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, non vuol dire chiedere «meno regole ma regole adeguate e proporzionate» al nuovo contesto internazionale, fatto di tensioni e di rischi al ribasso sulla crescita. Nella pratica, servono regole comunitarie che puntino alla stabilità tanto quanto alla crescita e non esclusivamente e «a tutti i costi» alla mera stabilità finanziaria. Altrimenti si arriva a chiudere semplicemente il «rubinetto, il che riduce la liquidità disponibile, il che a sua volta riduce la crescita», ricostruisce Sabatini. Sull’importanza del riequilibrio delle politiche e delle normative bancarie è d’accordo «al 100%» Angelo Doni, condirettore generale di Ania, come pure il dg della Federazione italiana delle banche di credito cooperativo (Federcasse), Sergio Gatti. La tecnocrazia in Europa è infatti «sfuggita totalmente di mano» e il settore bancario è ormai costretto a districarsi in un «accavallarsi e in una giungla di norme». È necessaria, dunque, secondo il portavoce delle bcc italiane rurali ed artigiane, «un’asciugatura» legislativa ma è proprio imprescindibile una rivoluzione «in termini di filosofia regolamentare», che riporti il credito al centro del sistema bancario. Oggi è diventato «quasi un delitto fare credito», che in realtà è la rappresentazione della volontà delle banche di accompagnare «le imprese oneste, che non riescono a stare dietro alle chiusure per la pandemia o alla chiusura dei mercati» verso la loro ripresa.

Anche il segretario generale della First Cisl, Riccardo Colombani, si è soffermato sulla stridente contraddizione fra le intenzioni teoricamente giuste del legislatore europeo, volte a garantire la stabilità del sistema, e le effettive conseguenze negative sul sistema creditizio e sulle prospettive di crescite del settore produttivo italiano. Per esempio, «eccessi rigoristici» come il calendar provisioning e la classificazione a default dei crediti, pur mirando alla stabilità, in realtà hanno «ridotto drasticamente la flessibilità del credito» e quindi ostacolano la crescita delle imprese. La concentrazione del settore e la riforma delle banche popolari puntano alla stabilità ma «hanno innescato un fenomeno di desertificazione dei territori e di restrizione dell’offerta di credito alle piccole imprese che minaccia il tessuto produttivo italiano». (riproduzione riservata)
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