I FERRI DEL MESTIERE
Dal 1° gennaio, in attuazione di una direttiva Ue (n. 2019/771), alcune novità in tema di garanzia di conformità dei prodotti irrompono nel codice del consumo. La direttiva è di piena armonizzazione e pertanto è volta a garantire una protezione uniforme nel mercato unico. Molteplici gli obiettivi: accrescere la fiducia dei consumatori sull’esistenza di un medesimo elevato livello di tutela e così incentivare le vendite transfrontaliere, anche online, e l’espansione commerciale delle pmi.

Un passo indietro e un breve fotofinish delle regole precedenti. Il venditore deve assicurare la conformità del prodotto per i due anni successivi alla consegna. Il bene deve corrispondere a quanto descritto, avere le caratteristiche normali di articoli dello stesso tipo ed essere idoneo a soddisfare le «ragionevoli» aspettative del consumatore che acquisti quel genere di prodotto. In caso di difetti, il venditore deve garantire la riparazione o la sostituzione e, ove impossibile o eccessivamente oneroso, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto.

Ed ecco le novità, che investono in particolare il settore dell’Internet of things. Si spazia quindi dagli smartphone agli elettrodomestici intelligenti e alle automobili con componenti digitali. La disciplina, infatti, si applica ora anche ai beni che incorporano contenuti o servizi digitali o che sono comunque interconnessi ad essi.

Il venditore deve anche garantire che il bene possieda la funzionalità, la compatibilità, l’interoperabilità, gli aggiornamenti e le altre caratteristiche previste dal contratto di vendita e deve tenere informato il consumatore sugli aggiornamenti disponibili, anche di sicurezza, necessari per mantenerne la conformità all’uso specifico. Gli aggiornamenti vanno forniti per il periodo di tempo che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, specie se la fornitura del contenuto o servizio digitale sia continuativa. In questi casi, la durata della garanzia può anche superare il biennio e il venditore risponde di qualsiasi difetto che si manifesti per tutto il periodo per cui è stata prevista la fornitura continuativa di contenuti o servizi digitali. Se il consumatore non installa entro un congruo termine gli aggiornamenti forniti dopo essere stato informato della loro disponibilità e delle conseguenze della mancata installazione, il venditore non è responsabile del difetto che dipenda dalla mancanza dell’aggiornamento sempre che, però, la mancata o errata installazione non sia dovuta a carenze nelle istruzioni fornite.

Altre tutele rafforzano la protezione dei consumatori: entro un anno dalla consegna del bene – prima solo sei mesi: novità non da poco – si presume che il difetto preesistesse, quindi la prova contraria grava sul venditore. Il consumatore può inoltre rifiutarsi di pagare fino a quando il venditore non abbia prestato i rimedi dovuti.

In passato, i rivenditori hanno riscontrato difficoltà ad assicurare ai consumatori l’effettivo esercizio dei loro diritti. Spesso, non si è rivelato banale dare risposte efficaci entro un «termine congruo». Ne sono seguiti diversi procedimenti all’Autorità Antitrust, preposta a contrastare le cosiddette pratiche commerciali scorrette. I procedimenti, spesso conclusi con l’assunzione di impegni (ossia con una sorta di «patteggiamento»), hanno indotto le imprese a rivedere le procedure per fornire ai consumatori informazioni chiare, corrette, tempestive e servizi adeguati. Chi non si è adeguato ha pagato gravose sanzioni.

L’esperienza mostra che solo una buona organizzazione consente l’effettivo rispetto della disciplina. È tempo quindi di rimettere mano alle procedure aziendali per adeguarle ai nuovi obblighi, mentre sul versante fornitori si dovranno rivedere i contratti, per monitorare le performance e assicurare che la rete di assistenza operi anche da remoto, specie per i servizi e contenuti digitali. Misura indispensabile per evitare ai venditori di restare col cerino in mano. (riproduzione riservata)

Marco Mergati

Claudia Signorini
Fonte: