Il 54% delle aziende italiane ricorrerà allo smart working anche dopo la pandemia. Lo rivela l’indagine realizzata da Fondirigenti (Quick survey “Smart Working 2.0” – Marzo 2021), il Fondo interprofessionale per la formazione continua dei dirigenti promosso da Confindustria e Federmanager.

Fondirigenti ha inserito il “lavoro agile” tra le priorità strategiche per il 2020 e ha deciso di dare seguito alla prima survey realizzata lo scorso marzo per analizzare il potenziale incremento nell’adozione dello smart working e valutare sia i benefici sia gli aspetti critici che le aziende hanno dovuto gestire in questa fase di emergenza sanitaria.

La survey ha coinvolto complessivamente 15.000 contatti presenti nel database del Fondo ed è stata realizzata mediante un questionario online. In poco meno di quindici giorni, nel pieno della seconda ondata (novembre 2020), sono state ottenute oltre 1.500 risposte.
L’indagine ha registrato una maggiore “sensibilità” nell’utilizzo dello smart working rispetto all’inizio della pandemia, dato riscontrato su tutto il territorio italiano, sebbene con intensità maggiore al Centro- Nord, rispetto al Sud.

Al termine della pandemia, il 54% delle aziende si dice pronto a continuare ad utilizzare lo smart working in modo permanente (il 13% già lo adottava prima del Covd-19). Il 42% invece, al momento, ha utilizzato lo smart working solo per fronteggiare l’attuale emergenza sanitaria, mentre solo il 4% non lo ha ancora attivato.

Le più propense all’utilizzo dello smart working anche in tempi post-emergenziali risultano essere le cooperative (86%), gli enti no profit (85%), seguiti dalle aziende private non familiari (58%). Risultati motivati dalla tipologia di attività svolte dalle diverse categorie di organiz-zazioni coinvolte nella survey, che possono risultare più (nel caso di servizi) o meno (nel caso della manifattura tradizionale) semplici da svolgere a distanza.

Durante il lockdown, la percentuale di smart worker coinvolta dalle aziende/organizzazioni è stata più alta rispetto alla situazione attuale, nella quale il numero medio di giorni/settimana lavorati a distanza è sceso di circa 1 giorno (da 4,25 a 3,19).

Il Centro è l’area territoriale caratterizzata dal maggior numero di lavoratori in smart working (sia durante il primo lockdown con il 67,1 % dei lavoratori coinvolti, sia attualmente con il 54,8%), seguita dal Nord (56,8% durante il primo lockdown, 47,2% attualmente) e dal Sud, che al momento si assesta al 43,1%.

Le Pmi hanno coinvolto un numero maggiore di lavoratori durante il lockdown (61,54%) rispetto alle grandi imprese (53,74%), mentre nella situazione attuale le percentuali di smart worker sono simili tra aziende di diverse dimensioni.

Rispetto alla prima survey, che ha descritto l’esperienza vissuta durante il primo lockdown, questo secondo studio di Fondirigenti mostra un leggero incremento nell’employee satisfaction nello smart working (3,79 vs 3,77). Ma chi ha beneficiato di più in questi ultimi mesi grazie al lavoro agile risultano gli imprenditori (da 3,73 a 4), seguiti da Quadri (da 3,78 a 3,85) e impiegati/funzionari (da 3,81 a 3,85). Manager e consulenti non hanno percepito particolari cambiamenti nell’esperienza, che già nel periodo del primo lockdown era considerata positiva (3,74 per i manager e 3,57 per i consulenti).

Nel disegnare la settimana lavorativa ideale, l’opinione prevalente è che si dovrebbero fare 2,6 giorni in presenza e 2,4 a distanza.
Attualmente, gli imprenditori risultano la categoria che in termini percentuali svolge gran parte delle proprie attività in modalità smart (76,25%), mentre i più presenti in ufficio sono i dirigenti (40,11% in smart). La figura che più di tutte potrebbe incrementare la percentuale di attività svolte a distanza è l’impiegato/funzionario (+ 15 punti percentuali rispetto alla prima survey), seguito dal dirigente e dal quadro (+12 punti percentuali). Il dato medio ci indica che le attività a distanza potrebbero incrementare di 13 punti (da 45% a 58%).

Gli ambiti con più impatto positivo dallo smart working sono il work life balance (3,91 su 5), la gestione e flessibilità del tempo (3,72), il livello di concentrazione (3,48), la produttività individuale (3,44) e il raggiungimento degli obiettivi (3,32). In linea generale, gli impiegati attribuiscono maggiori effetti positivi alla qualità del lavoro in smart working rispetto ai manager, che in media si attestano su un punteggio di 3,1 su 5.

Tra i maggiori aspetti critici emersi ci sono invece la mancanza di rapporti sociali (3,76) e l’impossibilità di interagire fisicamente con il proprio gruppo di lavoro (3,6).

Non vanno sottovalutate alcune problematiche tecnico-logistiche, come i problemi di connessione (3,19), gli spazi limitati a disposizione (3,09) e l’assenza di dotazioni ergonomiche.

Per superare queste criticità occorre attendere che questo processo di transizione giunga al termine, trasformando ciò che attualmente è più vicino al telelavoro che allo smart working vero e proprio. Saranno necessari investimenti per migliorare le dotazioni e nuove modalità di organizzazione del tempo e del lavoro, sottolinea Fondirigenti.

A distanza di 11 mesi dall’avvio dello smart working legato all’emergenza sanitaria, le imprese hanno dato la priorità alla messa a disposizione dei collaboratori di adeguate dotazioni tecnologiche (77,6%) e ad attivare una modalità di organizzazione del lavoro per obiettivi (45,5%). Questo dato fa pensare che le aziende stiano già sviluppando dei modelli organizzativi orientati al raggiungimento di risultati tangibili (sia qualitativi sia quantitativi) da parte dei lavoratori.

Una nuova cultura aziendale fondata sulla fiducia invece che sul controllo, sulla responsabilità invece che sulla gerarchia, sulla flessibilità invece che sulla rigidità e sulla collaborazione invece che sulla competizione.

La survey ha anche rilevato negli scorsi 11 mesi un aumento del tasso di avvio di corsi di formazione sullo smart working pari al 70% (dal 13% riscontrato nella prima survey al 22,7%).

Fonte: Corcom

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