di Marco Capponi
Liquidità sui conti correnti ai massimi storici e qualità delle eccellenze italiane del made in Italy possono diventare facce della stessa medaglia, purché si trovi un minimo comun denominatore che consenta di trasferire il cash sotto il materasso in progetti di rilancio delle imprese nazionali. Uno strumento di questo tipo esiste già, ed è quello dei Pir ordinari e alternativi, al centro del dibattito dell’evento Risparmio e ripresa. La nuova road map per gli investimenti pubblici e privati, panel inaugurale della seconda giornata della rassegna MilanoCapitali 2021 di Class Editori (trasmesa in diretta da ClassCnbc). La vera domanda cui politica e risparmio gestito dovranno rispondere nei prossimi mesi riguarda proprio la ricerca della massima efficienza di questi veicoli. Un tema anzitutto istituzionale, che parte da un dato di fatto: «Il 70% del risparmio italiano», ha sottolineato l’onorevole Sestino Giacomoni, presidente della Commissione parlamentare di vigilanza su Cdp, «produce ricchezza altrove: un problema che ha portato allo studio e alla nascita dei Pir». La priorità politica è quella di evitare lo spettro di una patrimoniale, e per farlo Giacomoni ha proposto un piano in due punti: «Primo, rilanciare proprio i Pir ordinari, allargando i benefici fiscali da 30 a 60 mila euro. Questo farebbe muovere tutta la rete, rimbalzando a cascata sui Pir alternativi». Secondo, e forse ancora più importante, «trovare un patto tra risorse pubbliche e private: il veicolo sarà un fondo gestito con metodi privatistici, che dia in gestione il denaro alle sgr invitandole poi a seguire le direttive del Parlamento sulla base delle esigenze che emergono dal Recovery plan».
Tutti d’accordo sul fatto che il rilancio delle imprese passerà da Pir ordinari e alternativi. Anche per Tommaso Corcos, presidente di Assogestioni e amministratore delegato di Fideuram-Intesa Sanpaolo private banking, si tratta di «una finestra unica per indirizzare i risparmi verso la ripartenza». I Pir ordinari, ha evidenziato il top manager, «erano partiti molto bene nel 2017-18, ma poi è cambiata la normativa, che solo da poco è tornata a essere market friendly». Non a caso, la raccolta dei Pir ordinari resta ancora negativa. «La finestra dei benefici fiscali può invertire la rotta», ha aggiunto Corcos, allargando poi il campo ai Pir alternativi, «uno strumento complementare focalizzato su aziende più piccole, senza i limiti classici del fondo comune di investimento». Sugli alternativi è ancora presto per valutare i risultati, perché lo strumento è giovane, anche se «uno dei punti di forza è il credito d’imposta per il 20%, che protegge il downside dando garanzia su un’eventuale perdita».

La necessità più stringente, al di là di tutto, resta quella di convogliare il risparmio verso l’economia reale. «Sarebbe importante», ha sottolineato il ceo di Generali Asset e Wealth Management (Awm), Carlo Trabattoni, «mettere a fattor comune un investimento che possa essere produttivo per la ripresa, quindi sicuramente l’aspetto fiscale e l’accessibilità degli investimenti». Con Generali Awm, ha esemplificato il top manager, «abbiamo già lanciato un piano di investimenti da 3,5 miliardi, Fenice, per far sì che ci siano risorse dall’aspetto sociale, e non solo in Italia».

Ovviamente questa rivoluzione dovrà passare da un cambio di paradigma culturale: le famiglie devono comprendere che evitare l’accumulo di liquidità e investire farà bene a tutto il sistema economico e quindi, di riflesso, porterà beneficio a loro stesse. «L’intento chiave», ha esplicitato Luigi Conte, presidente Anasf (Associazione nazionale consulenti finanziari), «è quello di innescare un circolo virtuoso che presenti alternative d’investimento rispetto al cash». Politica e consulenti devono partire dall’ambito della comunicazione: «Il dibattito sui Pir», ha lamentato Conte, «è sempre troppo politico e per addetti ai lavori, e non tiene quasi mai in considerazione la percezione che hanno i cittadini investitori verso temi così complessi». (riproduzione riservata)
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