RCA

Autore: Marco Rossetti

ASSINEWS 329 – aprile 2021 

Parte terza
COSA NON VA NELLA DISCIPLINA DELLE TRATTATIVE STRAGIUDIZIALI

  1. Quando i politici erano giuristi, o viceversa

Di Giulio Andreotti si potrà dire tutto, tranne che non fosse persona colta ed intelligente. Nel 1968 toccò a lui, come ministro dell’industria, scrivere la relazione introduttiva del disegno di legge C-345/68, destinato a divenire la l. 24.12.1969 n. 990, introduttiva nel nostro Paese dell’obbligo di assicurazione della r.c.a. Da persona colta ed intelligente, in quella relazione – arrivato al punto di illustrare l’art. 22 del disegno di legge – scrisse: “[l’art. 22 del d.d.l.] subordina l’esercizio dell’azione all’adempimento da parte del danneggiato dell’onere della preventiva comunicazione dell’avvenuto sinistro all’assicuratore e al decorso del termine di 90 giorni1 dalla data della comunicazione. Con tale norma si è inteso favorire la possibilità di accordi transattivi della liquidazione del danno, in modo da evitare, in quanto possibile, azioni giudiziarie” (Atti Parlamentari Camera, V Legislatura, disegno di legge C-345, p. 7).

E di rincalzo, nella relazione introduttiva dell’esame del medesimo d.d.l. al Senato, l’on. Mario Dosi (un avvocato, non un parvenu del diritto) “tra le altre disposizioni contenute nel capo terzo vanno segnalate quelle dettate dall’articolo 22 il quale, allo scopo di favorire accordi transattivi per la liquidazione del danno e di evitare, per quanto possibile, azioni giudiziarie, stabilisce (…) l’improponibilità dell’azione prima che siano decorsi 60 giorni da quello in cui sia stata inoltrata all’assicuratore (…) richiesta di risarcimento. La norma (…) sarà certamente utile per evitare che i costi di gestione siano aggravati, come oggi accade, dalle troppe citazioni frettolose ed inutili” (Atti Parlamentari Senato, V Legislatura, d.d.l. 895-A, p. 23).

Tanto le parole di Giulio Andreotti, quanto quelle di Mario Dosi, rivelano come al legislatore del 1968 stesse a cuore il problema del contenzioso giudiziario in materia assicurativa: sia per i suoi costi sociali (le liti in materia di sinistri stradali, per il loro numero, sottraggono tempo e risorse rilevanti all’amministrazione della giustizia); sia per i loro costi assicurativi (il costo del processo, ovviamente, incrementa il costo del sinistro tanto nel caso in cui la pretesa del danneggiato venga accolta, quanto nell’ipotesi in cui venga rigettata).

Per fronteggiare questo rischio, il legislatore del 1969 ricorse ad un sistema semplice e collaudato2: obbligare il creditore, prima di introdurre la lite giudiziaria, ad indicare espressamente la misura della sua pretesa; ed obbligare contestualmente il debitore ad indicare espressamente la misura della sua offerta.

Era ragionevole, infatti, ritenere che se il creditore ed il debitore vengono obbligati a parlarsi chiaramente, più facilmente troveranno un accordo per evitare il contenzioso. Può dirsi raggiunto quell’intento cinquant’anni dopo? No, ma non per responsabilità del legislatore di mezzo secolo fa. L’efficacia preventiva e dissuasiva della disciplina delle trattative stragiudiziali tra danneggiati ed assicuratore della r.c.a. è stata dapprima smussata, e poi grandemente demolita, da tre fattori:

  • l’interpretazione della giurisprudenza;
  • la farraginosità delle norme successive;
  • la pressoché totale assenza di incisività delle norme volte a contrastare da un lato condotte fraudolente del danneggiato, dall’altro condotte renitenti dell’assicuratore.

Il risultato è stato questo: che oggi l’introduzione della lite nei confronti dell’assicuratore del responsabile di un sinistro stradale deve essere obbligatoriamente preceduta da una mole farraginosa di adempimenti, tanto minuziosi quanto assolutamente inidonei a favorire davvero le transazioni stragiudiziali. Un circo Barnum di carte tanto opprimente quanto inutile.

Una vera riforma dell’assicurazione della r.c.a., ammesso che qualcuno volesse davvero metterci mano, dovrebbe probabilmente partire proprio da qui: ricondurre a razionalità il rapporto tra danneggiato ed assicuratore del responsabile, a cominciare dagli adempimenti propedeutici alla ricerca d’una transazione stragiudiziale. Vediamo il perché.

  • 2. Una giurisprudenza buonista

L’art. 22 della l. 990/69, sostanzialmente rifluito nell’art. 145 cod. ass., nella sua versione originale stabiliva: “l’azione per il risarcimento di danni causati dalla circolazione dei veicoli (…) può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni da quello in cui il danneggiato abbia chiesto il risarcimento del danno”. È vero che la lettera della legge era scarna, ma abbiamo visto quale ne era la ratio: favorire gli accordi transattivi e prevenire le liti giudiziarie.

E tutti sappiamo che le norme vanno interpretate in base al senso fatto proprio dalla connessione delle parole, ma conformemente alla loro ratio. Ora, se la richiesta di risarcimento doveva essere finalizzata a favorire gli accordi stragiudiziali, sarebbe stato logico desumere che una richiesta incompleta, ambigua, generica, aspecifica, si sarebbe dovuta ritenere tamquam non esset ed inidonea a soddisfare la condizione di proponibilità prevista dalla legge.

La questione è di logica e di buon senso, prima che di diritto. Come potrebbe mai un debitore accordarsi con un creditore, il quale gli intima: “pagami!”, Senza spiegare per quale ragione ed in che misura? Eppure, ancora oggi non sono rari i casi in cui l’onere di cui stiamo parlando viene assolto dal danneggiato (rectius, dal suo avvocato o dal suo incaricato, che non di rado non è neanche un avvocato) in termini quasi oracolari: “si è rivolto al mio studio il signor Tizio, il quale è stato danneggiato dal vostro assicurato signor Caio. Vi invito pertanto al risarcimento di tutti i danni patiti e pazienti, ecc.”.

La giurisprudenza, tuttavia, sin dall’indomani dell’apparire della legge, ritenne che la genericità della richiesta stragiudiziale di risarcimento non fosse ostativa all’introduzione della lite giudiziaria; né fosse ostativa la circostanza che in sede stragiudiziale il danneggiato avesse chiesto “50” e poi in sede giudiziaria chiedesse “100”; e tantomeno che fosse ostativa la circostanza che il danneggiato avesse chiesto in sede stragiudiziale i danni “A” e “B”, e poi in sede giudiziaria chiedesse i danni “A”, “B” e “C”.

Giudici di merito e di legittimità interpretarono l’art. 22 l. 990/69, nel senso che la genericità o l’incompletezza della richiesta stragiudiziale poteva avere al massimo l’effetto di impedire il decorso degli interessi di mora, ma non rendeva improponibile la domanda giudiziale (ex multis, in tal senso, Cass. civ., 09-08-1988, n. 4898), ed una volta messisi su questa strada pervennero ad autentici eccessi, come quello di chi ritenne che ai fini della proponibilità della domanda giudiziale sia necessario unicamente che ai fini della proponibilità della domanda giudiziale è necessario unicamente che nella richiesta scritta ex articolo 22 l. 990/69 “sia manifestata, in modo non equivoco, la richiesta di indennizzo all’assicuratore” (Giudice di pace Brescia, 1711-1997, in Giudice di pace, 1999, 107).  Interpretata in questo senso, la norma divenne un colabrodo: ed infatti il danneggiato non aveva nessun interesse a parlar chiaro prima dell’introduzione della lite, dal momento che nessuna conseguenza gliene sarebbe derivata in punto di proponibilità della domanda. Il risultato è stato che, per molti anni ed in parte ancora oggi, l’adempimento di cui all’articolo 145 codice assicurazioni si riduce ad una lustra, in quanto il danneggiato può avere la assoluta certezza che, una volta inviata a quella richiesta formale, la sua domanda sarà reputata proponibile, anche se in sede stragiudiziale abbia invocato risarcimento soltanto di 1/10 dei danni che poi richiederà in sede giudiziale.

3. Plurimae Leges, Corruptissima Respublica

La produzione parossistica di norme è un indice certo della decadenza dello Stato, e poche vicende come quella della disciplina delle trattative stragiudiziali tra danneggiati ed assicuratore conferma l’adagio tacitiano. Il legislatore, infatti, si è mostrato a più riprese avveduto del fatto che fosse necessario disciplinare in modo più stringente la fase delle trattative stragiudiziali, per renderle da un lato effettive e prevenire nello stesso tempo tecniche dilatorie da parte dell’assicuratore o manovre fraudolente da parte del danneggiato.

E tuttavia lo stesso legislatore si è comportato, per dirla col Sommo Poeta, come quegli “cui poter falla e desìre avanza”. Infatti, le norme introdotte allo scopo di rendere effettive le trattative stragiudiziali non solo non hanno sortito l’effetto sperato, ma alla prova dei fatti hanno ulteriormente complicato il quadro normativo. Tre, in particolare, a sommesso avviso di chi scrive, sono stati gli errori commessi dal legislatore in questa materia:

a) dettare minuziosamente il contenuto della richiesta risarcitoria stragiudiziale, ma ai soli fini della costituzione in mora e non anche della proponibilità della domanda;
b) introdurre una disciplina “antifrode” tanto farraginosa quanto inutile;
c) sottrarre agli organi giudiziari l’unico vero deterrente previsto dalla legge avverso le condotte dilatorie dell’assicuratore;
d) duplicare inutilmente gli adempimenti pregiudiziali, introducendo la negoziazione assistita.

Le esaminerò partitamente.

Il primo problema nasce dal difetto di coordinamento tra l’articolo 145 e l’articolo 148 del codice delle assicurazioni. La prima di tali norme detta la regola dell’improponibilità della domanda giudiziale proposta dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore della r.c.a., se non preceduta da una richiesta effettuata “avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti all’art. 148 cod. ass.”.

La seconda, invece, detta il contenuto della richiesta da inviare all’assicuratore, al fine di innescare il procedimento stragiudiziale ivi previsto finalizzato alla formulazione dell’offerta. La generica previsione secondo cui la richiesta stragiudiziale deve essere effettuata osservando “le modalità ed i contenuti” previsti dall’articolo 148 codice delle assicurazioni accettata gli interpreti in un mare di incertezze mai sopite anche a vent’anni di distanza dall’entrata in vigore del codice delle assicurazioni.

In particolare, ancora oggi è controverso se possa ritenersi improponibile quando la richiesta stragiudiziale non conteneva elementi prescritti sì dall’articolo 148 codice delle assicurazioni, ma nel caso concreto del tutto inutili per la ricostruzione della dinamica del sinistro e la stima del danno (ad esempio, il codice fiscale o la dichiarazione dei redditi, in un caso in cui la vittima di lesioni personali non intenda chiedere il risarcimento del danno da perdita della capacità di guadagno).

In secondo luogo, il legislatore ha lasciato irrisolto il problema se la richiesta dell’assicuratore di ulteriori informazioni nel caso di domanda incompleta, ai sensi dell’art. 148, comma 5, cod. ass., comporti l’interruzione, oltre che dei termini per la formulazione dell’offerta di cui ai commi 1 e 2 della norma ora citata, anche l’interruzione del termine di 60 o 90 giorni per il promovimento dell’azione diretta, di cui al comma 1 dell’art. 145 cod. ass..

In terzo luogo, il difettoso coordinamento tra gli articoli 100 45148 codice delle assicurazioni ha lasciato insoluto il problema di stabilire quali siano le conseguenze, sul piano della proponibilità della domanda, dell’inerzia dell’assicuratore, il quale non domandi le integrazioni docu-mentali pur a fronte di una richiesta di risarcimento inesaustiva od incompleta. Problemi che non è possibile affrontare nella presente sede, ma che hanno dato vita alle più disparate opinioni della giurisprudenza di prossimità.

4. Antifrode pro forma

Una vicenda analoga ha riguardato le norme concepite per contrastare i fenomeni fraudolenti in materia di sinistrosità stradale: il legislatore ha mostrato di conoscere il problema, se l’è posto, ha cercato di risolverlo: lo ha fatto però con norme che, alla prova concreta, si sono rivelate inefficienti ed inefficaci. Si tratta, in particolare, del comma 2 bis dell’articolo 148 codice delle assicurazioni, introdotto dall’art. 32.3, lettera b), d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in l. 24 marzo 2012, n. 27, e dell’art. 10 bis, comma 2, d.l. 78/2010.

La prima di tali norme ha distinto, nel disciplinare il procedimento stragiudiziale di domanda-offerta, l’ipotesi in cui l’assicuratore neghi il risarcimento perché sospetti una truffa, da quella in cui l’assicuratore neghi il risarcimento per ragioni di merito (ad esempio, insussistenza di colpa dell’assicurato, prescrizione del diritto, insussistenza od irrisarcibilità del danno).

Se l’assicuratore sospetti l’esistenza d’una truffa in suo danno, egli ha l’obbligo di darne avviso al danneggiato ed all’IVASS; i termini per la formulazione dell’offerta sono sospesi da tale comunicazione e l’assicuratore dispone di un ulteriore termine di 30 giorni, anch’esso decorrente dalla suddetta comunicazione, per ulteriori approfondimenti (art. 148, comma 2 bis, cod. ass.).

All’esito di questi ultimi, l’assicuratore non ha altra scelta che formulare l’offerta, oppure sporgere querela. In quest’ultimo caso i termini per l’offerta restano sospesi. Nel silenzio della legge, deve ritenersi che la sospensione cessi con la conclusione del procedimento penale introdotto dalla querela.

Questa conclusione tuttavia, pur essendo l’unica possibile, appare piuttosto problematica. L’assicuratore, infatti, pur essendo tenuto a sporgere querela non è tenuto a costituirsi parte civile (né potrebbe esserlo, essendo incoercibile il promovimento dell’azione civile), e dunque potrebbe ignorare del tutto che il procedimento avviato dalla querela si sia esaurito.

La macchinosità, il bizantinismo e soprattutto l’inutilità di questa procedura appaiono evidenti ove si consideri, da un lato, che l’assicuratore non avrebbe avuto bisogno di alcuna norma per rifiutare legittimamente il pagamento in presenza d’una tentata truffa, giacché la legittimità del rifiuto in questo caso discende dai princìpi generali delle obbligazioni; e dall’altro che l’art. 148, comma 2 bis, ultima parte, cod. ass. consente comunque al preteso danneggiato di promuovere l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore persino nei casi di sospetta frode! Per dimostrare al benevolo lettore la farraginosità della procedura di cui all’art. 148 cod. ass. sopra descritta, proverò a riassumerla nel seguente diagramma di flusso:

In sostanza, le grandi misure introdotte per contrastare le frodi assicurative sono state queste: che se l’assicuratore sospetta una frode, ha l’obbligo di dire al danneggiato: “guarda che non ti offro nulla, perché secondo me stai cercando di truffarmi”!

Del resto, in tema di antifrode, a conforto e dimostrazione di quali livelli abbia raggiunto il velleitarismo legislativo, nulla mi sembra più esemplare della misura introdotta dall’art. 10 bis, comma 2, d.l. 78/2010, istitutivo delle “commissioni regionali” composte da un rappresentante della regione, uno dell’ordine dei medici ed uno dell’ANIA, che avrebbero dovuto avere il compito di vigilare sul corretto esercizio dell’attività di certificazione di danni alla salute da parte degli esercenti di professioni sanitarie e monitorare eventuali condanne per il reato di falsa certificazione in danno di imprese assicuratrici, di cui al comma 1 del citato art. 10 bis d.l. 78/2012. Che ne è stato di quelle commissioni? Nulla: semplicemente, non pervenute.

  1. Armi spuntate contro la mora debendi

Si è detto della totale inefficienza delle misure concepite dal legislatore per prevenire le frodi in danno degli assicuratori. Spostiamoci ora sull’altro versante e chiediamoci quali misure siano state introdotte, dopo il 1969, per contrastare eventuali condotte inadempienti o renitenti dell’assicuratore del responsabile.

In questo caso le cose vanno ancora peggio: misure serie non ve ne sono e quelle che v’erano sono state eliminate. Fino al 31.12.2004, l’art. 3, comma 13, d.l. 857/76 consentiva al giudice ordinario di condannare l’assicuratore renitente o moroso al pagamento in favore del Fondo di garanzia vittime della strada di una somma pari alla differenza tra quanto offerto in terminis e l’indennizzo complessivamente liquidato dal giudice, al netto degli interessi. La norma abrogata aveva il pregio di affidare l’accertamento della diligenza dell’assicuratore allo stesso giudice chiamato a stabilire la fondatezza della richiesta risarcitoria, con evidente risparmio di tempo e di attività giurisdizionale.

Questa norma è stata tuttavia abrogata dal codice delle assicurazioni, ed oggi il giudice che dovesse accertare una condotta negligente o addirittura in mala fede dell’assicuratore della r.c.a. non può fare altro che trasmettere la sentenza all’IVASS perché promuova l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie3, e neanche sempre, ma solo quando la somma offerta sia inferiore di almeno la metà a quella liquidata dal giudice (art. 148, comma 10, cod. ass.).

Le differenze strutturali e funzionali tra il vecchio ed il nuovo sistema sono enormi, a tutto vantaggio del vecchio:
a) in passato la sanzione era irrogata dal giudice che aveva istruito il giudizio di danno: un solo processo metteva capo alle statuizioni civili e a quelle sanzionatorie; oggi l’attività è triplicata: la condotta dell’assicuratore è vagliata dal giudice civile prima, dall’IVASS poi e in caso di opposizione alla sanzione dal TAR in ultima istanza;
b) in passato la condanna dell’assicuratore al pagamento della sanzione era consentita in caso di sproporzione tra la somma offerta e quella liquidata dal giudice; oggi è consentita solo nel caso di “inosservanza dell’art. 148 cod. ass.”: ma l’assicuratore può comportarsi in modo negligente anche formalmente rispettando i termini e le forme l’art. 148 cod. ass., ad esempio lasciando intendere ad un danneggiato poco provveduto che la somma offerta è congrua rispetto alle liquidazioni giurisprudenziali;
c) in passato la condanna era versata al Fondo di garanzia vittime della strada, oggi è incamerata dall’IVASS (art. 35 Reg. IVASS 2.8.2018 n. 39). Si consideri poi che il crollo verticale degli interessi legali (0,05% l’anno scorso, 0,01% dal 1° gennaio 2021) ha reso estremamente conveniente, per il debitore, ritardare il pagamento quando il risarcimento dovuto sia cospicuo, dal momento che qualsiasi investimento finanziario garantisce oggi un rendimento ampiamente superiore al saggio legale degli interessi, ed anche questa circostanza può divenire una spinta verso l’inadempimento.

In Spagna, ad esempio, l’art. 20.4 della Ley 50/1980 stabilisce che se l’assicuratore ritarda più di due anni il pagamento dell’indennizzo è obbligato al pagamento di interessi di mora del 20%: una norma certamente molto più efficace dello spauracchio delle sanzioni IVASS, che da noi nessuno ha mai pensato di introdurre.

  1. Negoziazione (poco) assistita

Si è visto, al paragrafo che precede, quale tortuoso percorso ad ostacoli il danneggiato e l’assicuratore debbano intraprendere per rispettare le previsioni di cui al combinato disposto degli articoli 145 e 148 codice delle assicurazioni. Potrebbe bastare, no? E invece non basta: perché dopo aver assolto la condizione di proponibilità della domanda, c’è da assolvere quella di procedibilità della stessa domanda.

Bisogna, insomma, procedere alla “negoziazione assistita” (art. 3 d.l. 132/14). Non ho purtroppo qui lo spazio per potermi diffondere sui rapporti problematici tra la procedura di negoziazione assistita e l’assicurazione RCA: tuttavia appare quantomeno illusorio pretendere che danneggiato e assicuratore, i quali non sono riusciti ad accordarsi nonostante richiesta, offerta, minacce di querela, sospensione del procedimento, richiesta di integrazione, ecc., riescano come per incanto ad accordarsi grazie alle illecebra della negoziazione assistita.

La sostanziale duplicazione di attività tra la richiesta stragiudiziale ex articolo 148 cod. ass. e negoziazione assistita ha finito per rendere anche quest’ultima un inutile passaggio di carte, dispendioso in termini di tempo ed oneroso in termini di denaro.

7. Che fare?

Non sembri una provocazione, ma in questa materia occorrerebbe forse ripartire da Giulio Andreotti e dalle sagge parole spese nella relazione alla legge 990/69, sopra ricordate. Alla luce di quelle parole, l’esperienza dell’ultimo mezzo secolo ci ha insegnato tre cose: i ritardi nella liquidazione dei sinistri costano; le richieste fraudolente o pretestuose dei danneggiati costano; le renitenza e negligenti o in malafede degli assicuratori costano. Una vera riforma dell’assicurazione RCA dovrebbe dunque muovere da tre obiettivi: velocizzare le liquidazioni, contrastare le frodi, sanzionare l’inadempimento. Questi obiettivi si dovrebbero raggiungere con poche norme chiare e semplici e non con il guazzabuglio di prescrizioni contenute nell’articolo 148 codice delle assicurazioni.

Tali norme dovrebbero prevedere:

  • termini certi per la richiesta, l’istruttoria della pratica e l’offerta risarcitoria da parte dell’assicuratore;
  • l’inefficacia sostanziale e processuale di qualsiasi richiesta con la quale il danneggiato non abbia con correttezza e buona fede esposto tutte le sue ragioni ed avanzato tutte le sue pretese;
  • la decadenza dal diritto al risarcimento nel caso di dolosa esagerazione del danno;
  • la previsione di sanzioni dissuasive nei confronti dell’assicuratore in mora: ad esempio sotto forma di penali o di cospicui interessi moratori o di incremento in percentuale fissa (ad esempio, da 1/3 alla metà) del risarcimento dovuto, in caso di ritardo ingiustificato e protratto;
  • in caso di controversia giudiziaria, l’obbligo per il giudice di condannare l’assicuratore al versamento favore del fondo di garanzia di una somma di denaro pari allo scarto tra la somma offerta stragiudizialmente e quella liquidata dal giudice, in tutti i casi di colpa anche lieve.

____________________

1 Poi ridotti a 60 in sede di approvazione definitiva.
2 Regola analoga, infatti, era già dettata dall’articolo 64 della legge 27 febbraio 1960 n. 183, in tema di responsabilità del vettore ferroviario.
3 Per l’inosservanza dei termini di cui all’art. 148 cod. ass. è prevista la sanzione da 30.000 euro al 10% del fatturato (art. 310 cod. ass.).

© Riproduzione riservata