di Franco Bechis
Le aveva acquistate alla fine dell’estate scorsa l’ex commissario all’emergenza sanitaria, Domenico Arcuri. In tutto 250 milioni di mascherine ad altra protezione contro il virus destinate alle Asl italiane per la distribuzione a medici e infermieri che erano in prima linea. La maggiore parte di queste- 185 milioni di pezzi- è stata effettivamente distribuita a loro.
Altri 65 milioni per fortuna stavano ancora nei depositi della struttura che oggi guida il successore di Arcuri, il generale Francesco Paolo Figliuolo.
Sono state sequestrate in tutta Italia ieri dalla guardia di Finanza su ordine della procura della Repubblica di Gorizia. Per un motivo terribile: dovevano proteggere dal Covid 19 fra il 90 e il 95% chi le indossava. Invece la loro capacità filtrante era dieci volte inferiore: intorno al 9%.

L’inchiesta era nata grazie a un servizio di Striscia la Notizia in Friuli Venezia Giulia, dove si erano sollevati i primi dubbi sulle mascherine in dotazione ad alcuni ospedali. La procura aveva sequestrato ad inizio marzo in tutta quella Regione oltre 2 milioni di pezzi e agli esami di laboratorio erano risultati tutti fallati.

Portavano però il timbro della protezione civile nazionale ed è venuto il dubbio che facessero parte di una partita diffusa anche in altre parti del territorio.

I modelli oggetto del sequestro sono stati 12, quasi tutti di produzione cinese, e ieri la finanza è andata a perquisire anche gli uffici di Invitalia, dove ancora c’è Arcuri, per cercare tutti i contratti di quella partita di mascherine. Sono stati acquisiti anche i verbali del Comitato tecnico scientifico in cui veniva validato l’utilizzo di quei modelli di mascherine.

E già da ieri è iniziata la raccolta dati su contagi e (Dio non voglia) decessi del personale sanitario nelle strutture dove quelle mascherine erano state distribuite e purtroppo anche utilizzate nella certezza della loro sicurezza. L’indagine avrà i suoi sviluppi- clamorosi o meno- e ne attenderemo i risultati.

Ma quel che è accaduto è di una gravità inaudita: lo Stato italiano ha mandato in prima linea quelli che chiamava «eroi», che vorrebbe addirittura candidare al «Nobel per la pace» non con le scarpe rotte come accadde con gli alpini nella campagna di Russia, ma con le mascherine (la loro armatura fondamentale) bucata, facendo rischiare la vita a chi più di ogni altro avrebbe dovuto proteggere.

Non c’è che sperare che si sia sbagliata la procura di Gorizia, che siano errati i controlli di laboratorio effettuati, perché non è sopportabile un’ombra di questa gravità sullo Stato italiano, sulle spalle dell’uomo che ha gestito per conto dello Stato italiano l’emergenza all’epoca, sul governo in carica a quell’epoca, quello guidato da Giuseppe Conte con ministro della Salute Roberto Speranza e ovviamente sugli «scienziati» che avrebbero validato l’utilizzo di quelle mascherine.

Errori compiuti da tutti sì, tanti. E non abbiamo dimenticato di segnalarli di volta in volta. Ma qui di delitto- colposo o meno- e non di errore si tratta: una cosa da processo di Norimberga sulla gestione della pandemia, e non possiamo che allontanare da noi questo sospetto se non sarà provato e riprovato fino a scongiurare ogni ragionevole dubbio.

Ieri molto scandalo ha suscitato altra brutta vicenda sulla gestione della pandemia: in Sicilia secondo altra inchiesta della magistratura aiutata da intercettazioni, sarebbero stati truccati i dati giornalieri sui contagi per evitare di finire in rosso e dovere chiudere tutte le attività. Così venivano spalmati su più giorni per diluirne l’effetto. Sono scattati tre arresti di dirigenti al top della struttura dell’assessorato alla Sanità, e si è dovuto dimettere anche l’assessore, Ruggero Razza, indagato.

A inchiodare il gruppo mediaticamente è una intercettazione che certo risulta assai sgradevole: «Spalmiamo i morti». Non so in che contesto sia stata pronunciata la frase che marchia l’inchiesta.

So però che è una frase stupida e inutile. Perché mai il numero di morti è entrato fra gli originari 21 indici che determinavano l’algoritmo sulle chiusure regionali o locali. Quindi registrare i morti quando effettivamente sono avvenuti i decessi o farlo con qualche giorno di ritardo non determina assolutamente nulla. E si capisce perché: il numero dei morti- dolorosissimo- non riflette mai la situazione attuale dei contagi, ma quella di alcune settimane prima. Contano invece sicuramente gli indici RT e soprattutto la pressione dei ricoveri in terapia intensiva o in posti letto non critici.
La gravità delle mascherine bucate consegnate a medici e infermieri non è comparabile nemmeno lontanamente con quella del caso siciliano. Non c’è che augurarci della conclusione più rapida possibile dell’inchiesta.

Oggi possiamo solo ringraziare la Guardia di Finanza per avere evitato con quel sequestro di 65 milioni di mascherine di mandare a mani nude contro il virus altre decine di migliaia dei nostri eroi in corsia.

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